Vi raccontiamo la maratona didattica di ALMA Edizioni 2017

Per l’intera giornata del 18 novembre 2017 la ALMA Edizioni ha tenuto una maratona didattica sotto forma di webinar completamente gratuita. Sono stati tantissimi i partecipanti, l’entusiasmo era tangibile e i seminari online avvincenti. Per questo motivo abbiamo sondato tra gli iscritti al gruppo Fb “Italiano per Stranieri” la disponibilità a scrivere le proprie impressioni sui seminari, provando ad assecondare l’onda d’entusiasmo di quel sabato memorabile.

In quattro colleghe hanno risposto all’appello e finalmente possiamo condividere con voi tutti i loro preziosi contributi. Laura Alquati ha riassunto l’intervento di Gabriele Pallotti, Francesca Guerisoli Giorgio Massei, Chiara Pegoraro Vera Gheno e Silvia Maneschi Andrea Villarini.

 

Buona lunga lettura!

  1. L’ITALIANO SECONDO ME: LA PROSPETTIVA DELL’INTERLINGUA DIDATTICA” di Gabriele Pallotti –Università Modena e Reggio Emilia.

La prima domanda che si fanno gli insegnanti è “ come dovrei insegnare”: questo webinar ci propone un nuovo punto di vista, quello dalla parte dell’apprendente. Come apprendono gli studenti: riuscire a rispondere è il fondamento di una buona didattica.

Alla prima lezione l’apprendente di una L2 si chiede come funziona la nuova lingua, quanto è simile alla sua prima lingua o a quelle già studiate; il concetto chiave è quello di INTERLINGUA  che è un sistema linguistico provvisorio che l’apprendente crea durante l’acquisizione della L2 e che costituisce il percorso di ipotesi nell’evoluzione verso la lingua obiettivo ( diverse interlingue mano a mano che si procede) p.e. lui capisce/lui morisce, applicazione pura della regola .

Questo punto di vista dell’apprendente ci fa scoprire il percorso dell’acquisizione in fieri mentre il consueto punto di vista dell’insegnante parte, al contrario, dall’obiettivo che già conosce e questo condiziona lo sguardo sull’apprendimento in corso.

Se consideriamo l’approccio naturale dell’apprendimento,  cioè senza insegnante o testi di riferimento, e quindi l’apprendente è solo davanti alla nuova lingua,  si comprende correttamente questo suo percorso.

Quando si impara una lingua non guidati  si parte dal lessico. Lo studio su una bambina di 5 anni, marocchina, Fatma, denota come tutto sia funzionale all’interazione, al riuscire a fare, a cercare l’attenzione con formule rituali per modulare l’interazione: questa è la prima esigenza. All’inizio, chi impara da solo non ha bisogno di molti denotatori come avviene nei nostri corsi ( colori , lessico dei diversi domini ) ma ha necessità di comunicare: i dimostrativi questo e quello vanno praticamente a sostituire tutto il lessico di cose e oggetti. Apprendendo spontaneamente non si ha a disposizione grammatica o sillabi e quindi ci si concentra su quello che le torna utile per comunicare o fare. Le formule ne sono un esempio, brevi frasi che servono per interagire sia per bambini che per adulti che non vengono imparate in quanto frasi, consapevolmente, ma come formule fisse per un preciso scopo comunicativo, pezzi di frase per realizzare una precisa intenzione comunicativa.

Quando mancano le parole gli apprendenti mettono in atto delle precise strategie comunicative per compensare lacune lessicali ( sovrageneralizzazione per affinità, perifrasi, prestiti dalla lingua materna o conio (p.e. pur nella correttezza grammaticale “festerò”).

Bisognerebbe incoraggiare la produzione di queste strategie perché incoraggiano e motivano l’apprendimento e funzionano a livello comunicativo.

Lessico e pragmatica è la prima fase dell’interlingua di varietà basica cioè senza grammatica.

Questa è la strada spontanea: con il lessico infatti si comunica , con la grammatica si mette a posto, si riordina. In una lingua come l’italiano con tante irregolarità e molta grammatica, se partiamo da quella, gli studenti  prendono paura e lasciano il corso dopo un mese sconvolti dalla complessità grammaticale.

Invece, iniziamo con il dare il lessico per poter comunicare come in apprendimento spontaneo, e una volta che le persone avranno acquisito lessico e soddisfazione di poter comunicare, introdurremo la grammatica per sistemare,

Ma come arriva poi la grammatica? Iniziando con l’estrapolare le regolarità: gli apprendenti vedono che ci sono elementi che ritornano negli input che ascoltano o leggono (p.e. plurali in – i) .

Dopo aver osservato le regolarità bisogna capire la loro funzione per poi usarla consapevolmente.

L’evoluzione umana è stata guidata da logica e razionalità per evitare dispendio di tempo e risorse. Ma spesso le lingue non sono né logiche né razionali e l’italiano meno di tutte. L’ apprendente cerca l’ordine, ma trova irregolarità per non parlare degli allomorfi, come la vocale tematica  nelle 3 classi di verbi e questo viola la logica di” 1 forma 1 funzione”  perché si tratta di forme diverse che di fatto non servono a cambiare la comunicazione. Molti degli errori degli apprendenti deriva dal voler mettere ordine in questo disordine della lingua italiana (p.e. cuociato/cotto).

Se pensiamo a “preso” cambia radice e desinenza:  gli errori hanno un senso ( prenduto/prendato) è l’italiano che a volte non ha senso e rende difficile il riordino delle conoscenze apprese.

Tutto questo si spiega con la teoria del funzionalismo: si impara prima quello che è trasparente che ha un chiaro rapporto tra forma e funzione, facile da osservare perché molto frequente, facile da elaborare cognitivamente e soprattutto utile per comunicare. Se ci sono queste caratteristiche l’apprendente impara prima.

Come si impara il verbo oltre la varietà basica?  ( fisso non coniugato).Nell’apprendimento spontaneo si impara il presente flesso per persona e poi magari si userà anche il participio passato a volte con l’ausiliare avere.. “lei è arrivato” è un errore, ma che in realtà rivela la regola appresa  -to+ ausiliare. Dobbiamo imparare a vedere la logica dietro la produzione degli apprendenti uscendo dallo schema giusto/sbagliato.

Per la grammatica del nome è più semplice, anche se  non avendo gli oggetti sesso biologico  non è immediato riuscire nell’attribuzione del genere; il numero non è invece così arbitrario ed è più logico e quindi si impara prima perché cambia il senso della frase. Poi arriva l’accordo di genere e numero e non è facile mettere d’accordo i vari pezzi.

Primo compito dunque è assegnare il genere a ogni oggetto e il criterio femminile/maschile-a/o al 99% va bene, ma non per tutti, già qui troviamo irregolarità ( la man-o). Anche i criteri semantici aiutano, ma anche qui non sempre.

La morfologia  derivazionale è più semplice perché più regolare, ma solo per i derivati.

Viene consigliato almeno per i derivati di insegnare il genere  partendo dai suffissi perché è più semplice ed economico.

L‘accordo si sviluppa invece dopo la fase basica tra nome e articolo: “la cinema” e “la problema” non sono errori di accordo. Poi arriva l’accordo tra nome e aggettivo attributivo, dopo con l’aggettivo predicativo, è più difficile perché mette insieme sintagma nominale e quello verbale. Queste fasi in crescendo sono state sperimentate con apprendenti di lingua 1 tra le più diverse e da questo è risultato l’ordine universale  crescente di difficoltà.

Questo nuovo punto di vista dell’interlingua ci aiuta a capire e ad aspettarci cosa sarà più semplice e cosa più difficile nel processo di apprendimento, come prevedere un po’ il percorso che conduce all’obiettivo lingua, considerando che questo sistema funziona per tutti i tipi di apprendenti.

Secondo Selinker, ideatore dell’interlingua, Il ruolo della lingua 1 è importante perché aiuta l’apprendente nel fare ipotesi di funzionamento sulla lingua 2, a volte appoggiandosi a strutture già conosciute o eventualmente ad irregolarità che si è già abituati ad osservare.

Non dimentichiamo che a volte anche le lingue più “vicine” diventano fuorvianti con i falsi amici o anche con la pragmatica ( si sieda/sit down).

Resta comunque evidente che la lingua 1 non è la fonte principale di ipotesi per l’apprendente.

Che valore ha tutto questo per la didattica? Descrivere l’interlingua ci aiuta ad avere una valutazione formativa, cioè la valutazione che ci aiuta ad insegnare meglio, ad avere una didattica più mirata. Tra l’apprendente e la lingua, l’insegnante assume una funzione di mediazione.

In genere il punto di vista dell’apprendente che dichiara “l’italiano secondo me” cioè quello che ha imparato, quello che sa fare, è diverso da quello dell’insegnante concentrato di solito su quello che non è stato ancora fatto e che manca da imparare.

Non si possono rappresentare le competenze sulla base di quello che manca, ma su quello che si sa effettivamente fare.

Parlare di errore non è una visione positiva, significa valutare la mancanza da un sistema di lingua target che però l’apprendente ancora non ha.

Gli errori sono di diversi tipi quelli “ veri” sono quelli lessico-grammaticali. Sarebbe utile considerare gli errori come indicatori di ipotesi e strategie, un “italiano secondo me” appunto, che l’apprendente sta mettendo in atto. Nei due tipi di errore principali, per il primo la responsabilità è della lingua 1 in una influenza negativa; nel secondo, molti errori, e sono quelli che dovremmo imparare a leggere, sono dovuti al processo di apprendimento: si apprende una regola e si sovrageneralizza e la responsabilità è del disordine della lingua italiana; sono quindi errori che sotto hanno una regola e una logica (p.e. si è aprito).

“L’italiano secondo me” è il miglior italiano possibile dell’apprendente che commette errori in buona fede; a volte possono essere asistematici dovuti a disattenzione , ma spesso sono sistematici dell’interlingua, dovuti all’irregolarità dell’italiano, errori che comunque consideriamo lessicali non grammaticali (se il participio passato è preso e non prendato è una irregolarità lessicale non una regola grammaticale).

Gli errori vanno interpretati non contati. Se ci limitiamo a contarli e a pensare che insegnare una lingua sia evitare gli errori, i nostri studenti avranno paura di sbagliare e di sperimentare e rimarranno a un livello base. Il progresso dell’interlingua a volte comporta più errori.

Si può usare l’interlingua per la valutazione ? ( sondaggio) direi di no.. dare i voti non aiuta e non stimola la motivazione degli studenti. L’analisi dell’interlingua è formativa per riuscire a fare una didattica adeguata.. dare il voto significa mettere gli alunni in fasce e non aiuta a capire i processi di apprendimento.

Guardiamo prima la competenza comunicativa e poi quella linguistica; prima ci chiediamo cosa c’è poi cosa manca ( vedi analisi della slides). L’interlingua va letta in positivo.

Domande degli utenti:

fossilizzazione : cerchiamo di intervenire su un aspetto alla volta e non su tutti gli errori insieme ( focus on form)

durata: l’interlingua dura tutta la vita; le singole fasi dipendono da L1, se aiuta, ma i tempi sono variabili

classi multilivello: lavoro sulla regolarità. Il lavoro sulla stessa forma servirà a qualcuno ad accorgersi che esiste, chi l’ha già notata a sistematizzarla. La stessa attività può avere effetti diversi, ma  positivi su tutti

parlare agli apprendenti dell’interlingua: in generale negli approcci metacognitivi è utile perché responsabilizza il processo di apprendimento, li fa sentire intelligenti e non bambinetti che sbagliano in continuazione

La realtà in classe è diversa: quello che si propone è un approccio più efficace di quello tradizionale. Se cominciamo a correggere dal primo giorno e dopo 5 anni siamo a ancora a correggerli viviamo fuori dal mondo della didattica e non consideriamo che l’obiettivo primario è comunicare e non sradicare gli errori che renderebbe la lingua italiana una selva difficile ce quindi  una lingua morta in campo internazionale.

Commento al Webinar

Riguardando il webinar l’ho trovato un po’ ripetitivo nei concetti, ma a parte questo, lo considero innovativo dal punto di vista dell’approccio didattico, che sposta l’attenzione dall’insegnante all’apprendente e soprattutto nell’osservazione e mediazione di un percorso  di apprendimento in fieri che miri a seguire le tracce di ciò che si è già acquisito rispetto a ciò che manca ( togliendo il focus dalla conta degli errori, ma valutandoli e soprattutto interpretandoli). Un approccio positivo che stimola l’apprendente e placa gli attacchi di frustrazione degli insegnanti

Si tratta di teoria certo, e valutare quanto in classe sia applicabile sarà interessante, soprattutto con le classi multilivello e magari livello Alfa.. Però sicuramente ci portiamo a casa un atteggiamento positivo e costruttivo, un percorso sperimentato nella gradualità delle difficoltà degli argomenti e insinua in noi il dubbio sulla funzionalità effettiva comunicativa delle valanghe lessicali proposte per i vari domini …Inoltre questa interpretazione degli errori per valutare a che punto siamo dell’interlingua, “l’italiano secondo me”, ci regala ottime indicazioni su come intervenire nella scelta didattica degli argomenti da proporre: una buona indicazione decisamente. Le Slides sono molto interessanti soprattutto quelle che esemplificano l’interpretazione degli errori con il sistema interlingua.

Conosciamo meglio l’autrice dell’articolo…

Laura Alquati, nata a Roma, vivo a Treviso da circa 20. Sono laureata in lingue straniere e dopo aver ottenuto la CEDILS a Venezia pochi anni fa, sono entrata nel mondo degli insegnanti esperti esterni di italiano L2 nei CPIA di Treviso. Quest’anno ho avuto la fortuna di poter sperimentare anche l’insegnamento in un CAS. Prima sono stata volontaria in Caritas e nei doposcuola per bambini stranieri attivati dagli IC.

Mi piace molto lavorare con le donne e con i richiedenti asilo, in particolare con gli analfabeti

 

2. Giorgio Massei: “Guarda e impara!” Attività di anticipazione dell’input secondo la teoria dei neuroni specchio.

Insegnare gradevolmente: l’empatia come canale privilegiato per la comunicazione in classe.

Secoli e secoli fa un grande maestro del pensiero, Aristotele, affermava che insegnare gradevolmente fosse il fine della poesia la cui grandiosità risiedeva soprattutto nel condurre l’interlocutore attraverso una serie di sentimenti ed emozioni dai quali, nel caso dello spettacolo tragico, si sarebbe poi liberato, attraverso un processo empatico chiamato da lui catarsi.

Compiendo un notevole salto interpretativo, ma non di certo anacronistico, potremmo riferire il pensiero del maestro anche alla didattica delle discipline e in modo particolare alla disciplina di nostro interesse, la glottodidattica. Proprio Giorgio Massei ha concluso il suo webinar nell’ambito della maratona didattica di ALMA edizioni dello scorso novembre, dichiarando che l’obiettivo più profondo all’interno di un percorso di apprendimento non coincide unicamente con l’imparare certe strutture linguistiche bensì con il provare piacere nell’apprendere, lo stare bene con sé e con il gruppo classe è la finalità principe. La didattica umanistico-affettiva, di cui è figlia la suggestopedia, ci insegna che senza una condizione di benessere si possono innescare dei filtri affettivi capaci di compromettere l’apprendimento con ricadute inevitabilmente negative sul piano del profitto e su quello motivazionale. In questo contesto allora il docente ha una responsabilità enorme: lui e le attività che propone sono come lo spettacolo di cui parlava Aristotele, lo scenario emotivo che per avere risultati positivi deve catturare adeguatamente l’attenzione del pubblico, emozionare, essere rilevante.

Se un pieno coinvolgimento nelle attività che presentiamo alla classe porta a risultati positivi, allora la domanda è questa: come si fa a coinvolgere così pienamente lo studente? Come possiamo fare in modo che in quelle ore in cui lui è lì in classe con noi possa isolarsi dal resto del mondo, al punto da immergersi e focalizzarsi unicamente su quello che fa? Questa è stata la domanda di apertura del webinar e una delle possibili risposte, quella su cui si è incentrato l’intervento di Massei ruota intorno al concetto di empatia: meccanismo naturale e potentissimo della nostra mente che ci permette di comprendere gli altri, di coglierne le intenzioni e le emozioni a un livello intuitivo, ancora pre-razionale. Il canale empatico funziona in questo modo: nel momento in cui io guardo una persona compiere una determinata azione il mio sistema nervoso si attiva, in una fase iniziale e potenziale, come se fossi io stesso a compiere quell’azione che in questo modo riconosco e comprendo. Questo meccanismo di comprensione è stato messo in luce da alcuni scienziati italiani (Rizzolati, Gallese e Fogassi) negli anni Novanta del secolo scorso attraverso la scoperta di un circuito di neuroni capaci di attivarsi allo stesso modo sia quando un soggetto compie un’azione in prima persona sia quando la vede eseguire, da qui il nome di “neuroni specchio”.

Sulla base di questa recente scoperta come possiamo allora migliorare la pratica glottodidattica? Giorgio Massei ha messo in luce alcuni di questi aspetti che potrebbero essere

potenziati e attuati per avvicinare l’apprendimento al funzionamento naturale del cervello. Il primo aspetto sul quale è possibile lavorare è proprio costituito dal canale empatico: avendo ora ottenuto la dimostrazione fisica e scientifica di questo meccanismo naturale della mente, noi docenti possiamo attuare alcune cose importanti: innanzitutto creare un ambiente positivo e rilassato in classe, porsi davanti agli studenti con il sorriso per far risuonare un’emozione di benessere in ognuno di essi. In secondo luogo, Massei consiglia di sfruttare al massimo la fase di motivazione, quella che anticipa l’analisi vera e propria dell’input linguistico, per creare altre risonanze empatiche tali da coinvolgere maggiormente l’apprendente. Tra i materiali didattici che più si prestano ad attivare quei meccanismi naturali descritti dalla teoria dei neuroni specchio, i video sembrano essere i più efficaci. La video didattica, l’input multisensoriale, stimola in modo più forte e completo il lavoro dei neuroni specchio producendo risonanze empatiche dalle ottime ripercussioni sulla memoria.

L’intervento di Massei, oltre ad aver portato a riflettere su alcuni principi teorici di rilevanza notevole per la glottodidassi, si è presentano estremamente utile perché è riuscito ad applicare la teoria alla pratica suggerendo una serie di attività da poter svolgere in classe, attività nutrite per l’appunto di questi studi scientifici che ne sono alla base. Poiché i neuroni specchio si localizzano nell’uomo sia nelle aree motorie che in quelle del linguaggio, si ritiene che ogni atto linguistico abbia un riflesso motorio: per questo motivo tecniche didattiche basate sull’associazione gesto- parola, come la Total Physical Response, sembrano favorire la memorizzazione; sulla base di questo dato Massei propone un’attività semplice e interattiva: consiglia di prendere un dialogo di media lunghezza e dividerlo in due parti e assegnare ogni parte a un gruppo di studenti che dovranno leggere il dialogo e provare ad associare le parole del testo a dei gesti inventati: il gesto viene chiamato così a rappresentare la parola e attraverso il confronto con i compagni ci sarà una fase di negoziazione dei significati; transcodificazione e collaborazione faciliteranno così la fissazione degli input nella mente.

Un’altra attività suggerita da Massei che mi sento di voler citare perché esemplificativa di quanto è stato detto finora, è quella da lui chiamata “rumori in ascolto” che consiste nel presentare alla classe, prima del lavoro di analisi dell’input, dei suoni di sottofondo (la libreria youtube ne dispone diversi del tipo “suoni al bar, al mercato ecc.) e stimolare in seguito all’ascolto una discussione sulla base di quanto si è riconosciuto. Questa attività, facendo leva sulla proprie esperienze ossia su quell’enorme bagaglio di pre-conoscenze che costituiscono la base della comprensione, riesce a stimolare in modo più immediato l’empatia promuovendo così un coinvolgimento maggiore dello studente.

La teoria dei neuroni specchio, pur essendo un argomento scientifico, vasto e complesso, può dunque essere una base teorica molto interessante per costruire attività didattiche da svolgere in

classe; a mio avviso, la chiave di forza del webinar di Giorgio Massei è stata proprio la dimensione pratica del suo intervento, la capacità di tradurre contenuti complessi in attività accessibili, e in altre parole, di rendere semplice – ma non facile – la nostra grandiosa complessità.

31/2/2017 Francesca Guerisoli

Conosciamo meglio l’autrice dll’articolo…

Francesca Guerisoli. Insegnante di italiano fresca fresca di laurea, ha maturato le prime esperienze didattiche a Torino nei centri di istruzione per adulti stranieri. Da due anni vive a Londra dove insegna e organizza eventi per promuovere la conoscenza della lingua e della cultura italiana.

 

3. VERA GHENO E LA LINGUA CHE SI INFUTURA

Avete mai notato che la stragrande maggioranza delle formazioni per insegnanti di lingua riguardano esclusivamente la didattica? È un peccato perché concentrandoci solo su una parte del nostro lavoro (insegnanti), ci perdiamo per strada l’altra metà (di lingua, appunto). Per questo è stata una piacevole sorpresa vedere che tra i molti interventi di didattica nella maratona di webinar, ne era stato inserito uno sulla “lingua che si infutura”, ovvero sui neologismi. La formazione è stata affidata a una voce importante della linguistica italiana: Vera Gheno, sociolinguista, docente universitaria e dal 2012 responsabile della “autorevole leggerezza” con cui l’Accademia della Crusca comunica su Twitter.

Nel webinar si è parlato del fastidio con cui spesso molti accolgono i neologismi nella lingua, ignorando il fatto che, Dante, il mostro sacro, padre della lingua italiana è stato fra i più grandi onomaturghi, cioè creatore di nomi, (quando impari una parola così devi approfittare di tutte le – poche – occasioni che ti si presentano per usarla). Senza Dante adesso non potremmo dire: quisquilia, molesto o fertile, per fare un esempio. Poi si è sfatato un mito che perdura anche fra gli addetti ai lavori (che poi saremmo noi insegnanti), cioè che la crusca abbia il benchè minimo potere di controllo, che sia una sorta di polizia della lingua, che ti mette in stato d’arresto se sbagli un congiuntivo o se contribuisci alla diffusione di petaloso. Niente di tutto questo. Si è ribadito invece l’atteggiamento che il linguista dovrebbe avere nei confronti delle modifiche e dei cambiamenti della lingua: la cauta osservazione. D’altronde l’ingresso di una parola nel dizionario è determinato da una ricorrenza statistica, non da un giudizio estetico, per questo, molto democraticamente, i responsabili della diffusione di petaloso sono stati anche tutti quei troll indignatissimi che hanno subissato la Crusca di inutili proteste.

Se volete fare quindi un bel ripassone teorico su come si è evoluto l’italiano, e soprattutto se, come me, avete un debole per le curiosità sulla lingua (Negli anni ’20 volevano usare la parola casimiro per dire cashemere? Oibò!), non perdetevi questo webinar, ancora disponibile su Alma.tv. Dalle citazione bibliche agli hapax legomena, (con tanto di incursione RAI nel mezzo), tutte le caratteristiche della lingua che si infutura, che si prolunga nel futuro, e di come neanche un’istituzione mansueta come la Crusca sia al riparo dalla cybercazzola.

 

Conosciamo meglio l’autrice dell’articolo…

CHIARA PEGORARO è un’insegnante di italiano per stranieri. Sogna di lavorare in una scuola vicino a casa dove si guadagna tanto, si lavora poco, i colleghi sono simpatici e gli studenti studiano. Nel frattempo insegna on-line ai pensionati australiani e si diletta nella creazione di materiali didattici. Ha miracolosamente pubblicato il libro Andiamo fuori! con Alma Edizioni.

 

4. LA DIDATTICA DELL’ITALIANO IN AMBIENTE DIGITALE. SUGGERIMENTI SU COME ACCETTARE LA SFIDA.

Il focus dell’intervento proposto dal professore Villarini è la didattica dell’italiano in ambiente digitale. Per quanto non venga esplicitato chiaramente, la presentazione verte sui corsi MOOCs, ovvero quei corsi a distanza che coinvolgono un numero elevato di utenti e che prevedono principalmente momenti di apprendimento asincrono. In prima battuta, il professore mette in luce la relativa “gioventù” del tema, cui corrisponde un vero e proprio “tumulto di termini”che accompagna la definizione di apprendimento online a distanza: si tratta dunque di un territorio ancora da definire che porta con sé anche tutta una serie di pregiudizi sulla possibilità di realizzare un corso online.

Alla luce di questa premessa, obiettivo dell’intervento è fare luce sulla “macro questione” delle nuove competenze che il docente deve acquisire per realizzare un corso di italiano online. Secondo il prof. Villarini, il primo passo da compiere è identificare gli assi della didattica online (e non solo)”. In primis, diventa  importante riflettere sul concetto di “testo”. Se, tendenzialmente, quando si parla di “testo” si fa riferimento a quello letterario, una visione più ampia inquadra come “testo” tutto ciò che serve per comunicare qualcosa: in quest’ottica, anche un gesto è un testo. Ne consegue allora che insegnare online, inteso come altra forma di apprendimento “guidato”, non esime il docente dal dotarsi di un’“idea di competenza linguistica vista come capacità, da parte degli studenti, di gestire l’universo della testualità” nell’accezione di testo più ampia così come proposta da Villarini.

Interessante è la riflessione su cosa NON è un corso di lingua online. Questo modus di riflessione in termini negativi presenta il merito di fare luce su aspetti e dati inaspettati. L’apprendimento a distanza non è per tutti, “non tutti i corsi online sono giusti per i nostri corsisti e viceversa.” È importante tenere a mente che didattica digitale e didattica in aula sono mondi paralleli: trasporre un corso pensato per la presenza in un ambiente digitale non è così automatico. Il professor Villarini corrobora queste affermazioni facendo riferimento a dati sulla composizione anagrafica delle persone che maggiormente frequentano i corsi online. Sorprenderà forse scoprire che, differentemente da quanto succede abitualmente in aula, sono i più adulti ad essere attratti dall’apprendimento online, rispetto ad un pubblico giovane.

Sempre in un’ottica contrastiva rispetto all’aula tradizionale, il prof. Villarini pone l’accento su come la didattica online ponga nuove sfide al docente di italiano e, più in generale, alla didattica delle lingue. Se è vero che “ci sono soluzioni didattiche pensate per l’e-learning che possono essere utilizzate anche in aula”, non si può dire altrettanto per il contrario: l’online pone dei “vincoli stringenti” e sta cambiando la didattica delle lingue su diversi fronti:

  • temporale. Nell’apprendimento online, rispetto alla lezione in presenza, il tempo è “dilatato” perché si tratta di un apprendimento contraddistinto quasi totalmente da fasi asincrone;
  • spaziale. Lo spazio di apprendimento nei corsi online non è chiuso ed “il ruolo dell’input appreso fuori è molto più forte rispetto ai contesti di apprendimento in presenza”. Si deve altresì  tenere conto che, nei corsi a distanza, non disponiamo del feedback che viene dalle espressioni facciali dei nostri studenti in presenza.
  • didattico e metodologico. Gli ambienti di ambiente online presentano una “ridotta flessibilità della didattica”: si tratta di ambienti più “rigidi” ma certe azioni, quale – ad esempio – quella di caricare files, possono essere inquadrate anche in termini di ricadute positive: da una parte, aumentano la centralità e autonomia dello studente, chiamato a svolgere nuovi compiti; dall’altra, favoriscono un clima collaborativo tra i partecipanti in quanto “ci si organizza in classe per risolvere gli eventuali limiti”. Inoltre, l’ ambiente di apprendimento online non “supporta tutte le tecniche didattiche possibili” ma apre la porta ad altre che si avvalgono dell’uso del web e e di software specifici per la creazione di attività didattiche. Infine, nella risposta che il professor Villarini dà alla domanda di un partecipante, si evidenzia anche un aspetto pratico – legale di cui il docente dovrà tenere conto, ovvero la delicata questione della gestione dei diritti d’autore dei materiali usati in un corso online a distanza.

Da queste riflessioni, ne consegue l’affermazione che “un bravo insegnante in aula non è automaticamente un bravo insegnante online” e si arriva così a tratteggiare una nuova figura di docente,  diversificata  e che racchiude in sé i ruoli di “maestro”, “progettista”, “realizzatore di materiali”, “information broker”,  “docente/tutor” e “personal trainer”. Nuove sono le prospettive per gli insegnanti di italiano e nuovi sono i compiti che dovrà affrontare: l’importante è essere pronti ad accettare la sfida!

 

Conosciamo meglio l’autrice dell’articolo…

Silvia Maneschi insegna italiano LS/L2 ed è formatrice di docenti. Dopo la laurea in Lettere Moderne e la DITALS II, parte alla volta della Repubblica Dominicana per sei mesi, diventati poi sei anni. A Santo Domingo, insegna alla Dante Alighieri, all’università iberoamericana UNIBE e privatamente. Appassionata di ricerca qualitativa (si era laureata con una tesi di ricerca sulle pari opportunità, svolta in Svezia), conclude il Master ITALS II con una ricerca azione su Nuove Tecnologie e didattica dell’italiano LS. E’ responsabile della certificazione di italiano CILS per la sede di Santo Domingo. Attualmente vive in Italia, ma collabora con una scuola americana in Svizzera. Da vari anni insegna italiano via Skype e organizza un corso online per docenti di italiano LS/L2 interessati a questa modalità di insegnamento.  Su Facebook, amministra il gruppo Insegnare italiano online – Tecnologie al servizio della glottodidattica.

 

 

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