Nel mio battonaggio quotidiano alla ricerca di contratti e contrattini per pagare le bollette vengo spesso a contatto con le amministrazioni dei Centri Linguistici Universitari. Nel far questo ho strane aspettative, come quella che le graduatorie di merito siano rispettate e che a norma di legge le collaborazioni esterne siano pubblicate tempestivamente sui siti-web. Questo infatti è l’unico modo per riuscire a controllare che le grauatorie vengano seguite ed eventualmente ricorrere.
In questa situazione mi sono trovato non infrequentemente a chiedere spiegazioni. La regola quasi generale è non rispondiamo; poi se proprio insisto rispondono con sufficienza, parzialmente e implicando l’idea ma perché vuoi fare perdere tempo a te ma soprattutto a noi con queste inutili questioni formali? Tuttavia ogni tanto esiste un’eccezione alla regola che quindi va elogiata.
Ho chiesto chiarimenti al Centro Linguistico Universitario di Venezia circa la pubblicazione delle collaborazioni esterne e… udite udite, la risposta è arrivata la mattina dopo, cortese ma non sarcasticamente ironica (non c’era scritto Egregio dottore, Pregiatissimo professore, e varie cazzate del genere che servono solo a dire A ‘nbecille! Noi co’ ‘a terza media se semo fatti ariccomannà e mó ciavemo er contratto a tempo ‘ndeterminato, stamo drentro er ventre de la vacca e Berzani ce difenne; te co’ tutti ‘sti masteri ancora vai ‘n giro a raccattà limosine a destra e a manca e nun te carcola nisuno). Soprattutto la lettera non era sottilmente aggressiva ma anzi scritta col senso di servizio dovuto da un’istituzione pubblica ad un cittadino, forniva tutte le informazioni di cui avevo bisogno aiutandomi anche a riassumerle per mia comodità di consultazione. Infine, era scritta in italiano vero, non burocratico.
Quindi, bravi!
Nota. Ho usato il romanesco per connotare negativamente il modo di rapportarsi che spesso tali istituzioni hanno con (i postulanti) gli aspiranti insegnanti non perché questo succeda solo a Roma, ma perché io conosco solo quello di dialetto ed un dialetto pure mi serviva per esprimere il concetto, perché l’Italia unitaria doveva e dovrebbe essere fatta di lettere scritte in buon italiano come quella che ho ricevuto da Venezia; per quella porca e sporca pre-unitaria va bene il dialetto.
Ca’ Foscari rules!!! 😀
Posso conferma anch’io per esperienza personale (OK, ci ho anche studiato) che l’università di Venezia è sempre molto “accountable”. Bravi.
Ciao Carolina,
mi dispiace che l’Argentina in questo somigli all’Italia. Qui qualcosa, molto lentissimamente, si sta muovendo, soprattutto grazie ad Internet e ad un paio di leggine dell’ultimo ministero Brunetta e’ possibile controllare un po’ di piu’. Vent’anni fa una parte dell’elettorato del Pupazzone s’aspettava che egli scardinasse le posizioni da reucci che tanti di questi burocrati gestiscono in modo del tutto irresponsabile. I risultati sono stati minimi e tardivi rispetto alle grandi promesse.
ahh che bella boccata d’aria fresca, genuina, quasi miracolosa! ti capisco perfettamente Ciro, perché anch’io mi sono trovata tantissssssime volte a chiedere e richiedere e ririchiedere spiegazioni ma non sono mai arrivate oppure “señora profesora, devolvemos su nota por improcedente”, non ho il dialetto a disposizione ma la lingua di origine in cui una sola volta la risposta é arrivata….
complimenti a chi fa il suo lavoro !!!
Ciao Antonella,
per prima cosa grazie per essere passata e aver commentato. Mi fa inoltre piacere che tu condivida il senso generale del post.
Per quanto riguarda le tue critiche e per farla breve, si’ ancora ci credo.
Ho scelto di rappresentare l’atteggiamento prepotente delle istituzioni nei confronti dei cittadini tramite il dialetto perche’ esso evoca un sistema di valori ed un tipo di societa’ pre-moderni che sarebbero dovuti scomparire dopo il 1861 e che invece purtroppo si perpetuano ancora troppo spesso.
Per questo secondo me non e’ un caso che la lettera da Venezia fosse in un bello e semplice italiano, non in un mostruoso bruttocratico, dietro cui, secondo me, si nasconde chi parla ma soprattutto pensa e giudica solo in dialetto, con tutte le conseguenze che cio’ comporta.
E forse percio’ non e’ neanche un caso che la lettera venga da una citta’ dove esiste una reale situazione di diglossia. Chi ha scritto molto probabilmente parla correntemente dialetto veneziano, ma quando rappresenta un’istutuzione pubblica italiana si esprime in piana lingua nazionale. Ad ogni ambito il codice piu’ appropriato; a queste condizioni il dialetto puo’ certo rappresentare un patrimonio, senza condizioni stringenti e’ invece solo una zavorra che andrebbe mollata quanto prima.
Saluti e torna presto, anche con altre critiche, a noi fanno sempre piacere.
Ciro
peccato per queste due note stonate perché il post è assolutamente da condividere….. in quel “noi con la terza media…” è racchiuso un mondo!
questa dell’Italia porca e sporca preunitaria mi sa tanto di falso storico inculcato con il lavaggio del cervello. l’uso del dialetto non andava giustificato, ci stava tutto, invece proprio la giustificazione mi è suonata un po’ stonata… i dialetti sono un grande patrimonio, lasciando stare qualsiasi retorica unitarista (ma ancora credete alla storia dei mille benefattori in stile Che Guevara?)