Pubblichiamo sul blog il video dell’intervento di Christopher Humphris in apertura del convegno Dilit 2008, dal titolo: “L’apprendimento linguistico e la teoria della complessità”.
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Gli stranieri a scuola
Nell’attesa del laboratorio di domani su come lavorare in una classe multietnica (un’attesa tutta mia…), vi propongo un articolo di Christopher Humphris che ho letto e riletto con attenzione in questi ultimi giorni. L’articolo è pubblicato nella pagina degli articoli dei bollettini del sito della Dilit.
Gli stranieri a scuola – qualche considerazione di base
Christopher Humphris
La questione di ragazzi stranieri nelle classi della scuola normale si presenta sempre più frequentemente. In discussioni con maestri e docenti della scuola elementare, media inferiore e media superiore che cercano soluzioni, avverto un aspetto centrale del loro modo di affrontare la questione. C’è una tendenza a vedere lo straniero in classe un po’ come si vede il disabile in classe: costituisce, cioè, da una parte un freno ai ritmi “normali” di lavoro e dall’altra una persona in difficoltà, bisognosa di aiuto.
Ora, evitando di entrare nel merito dell’utilità o meno di vedere il disabile in questi termini, vorrei dire qualcosa, invece, riguardo allo straniero.
“Il due chiacchiere con” Christopher Humphris su S. Krashen
Uno scambio di e-mail tra Christopher Humphris (direttore del dipartimento di ricerca e formazione della Dilit – IH di Roma) e Carlo Guastalla. Tema della chiacchierata: Stephen Krashen.
Convegno Dilit 2006 – secondo giorno
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Relazioni plenarie del secondo giorno (Clicca sulla vignette per ingrandirle):
Anna Maria Ajello (Direttore del Dipartimento di Psicologia dei Processi di sviluppo e Socializzazione dell’Università di Roma “La Sapienza”) ha tenuto un’interessante relazione sull’importanza della discussione in classe, requisito fondamentale di una lezione per far evolvere la capacità di ragionamento degli studenti. L’approccio di influenza vygotskiana proposto dalla relatrice dovrebbe avere una parte importante nel percorso formativo degli apprendenti. Speriamo che i prossimi ministri dell’istruzione l’ascoltino…
Giorgio Chiari (Professore di Metodologia e Tecniche della Ricerca Sociale alla Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento) ha tenuto una relazione dal titolo Cooperative Learning: un nuovo metodo per una nuova scuola. Il contenuto del laboratorio può essere letto qui, e forse sarebbe bene farlo perché purtroppo la relazione non è stata molto illuminante. Come ha scritto Leonardo in un commento al post sul primo giorno del convegno: “Chiari ha lanciato un messaggio contraddittorio di questo tipo: il modo migliore per apprendere qualcosa intorno al modo migliore per apprendere (il cooperative learning) è un modo di gran lunga peggiore di apprendere (la lezione frontale).
Teresa Remoli (Psicologa, Formatore dell’ACP (Approccio Centrato sulla Persona) e del Metodo “Effectiveness Training” di Thomas Gordon) ci ha presentato il “Metodo Gordon”. Forse perché è stata l’ultima relatrice, forse perché la platea era stanca, forse perché la troppa luce in sala non permetteva una chiara visione di tutte le sue diapositive… fatto sta che oltre all’invito a creare in classe un clima empatico di questa relazione non ricordo nulla. Megli rileggere qui di cosa ha parlato.
Questo è tutto.
Resta da affrontare l’argomento laboratori, abbastanza deprimente, che apre davvero una discussione già introdotta da Christopher Humphris sulla lista di discussione di Perugia, come Leonardo ha accennato nei commenti.
PS: le vignette sono di Yuri, un’amica e un’insegnante in gamba 😉
Gli studenti… perché non imparano?
Oggi propongo un articolo di ormai 25 anni fa scritto da Christopher Humphris e reperibile insieme a molti altri sul sito della Dilit – IH. Mi sono imbattuto in questo testo e credo che, in molte classi, l’invito di Christopher sia ancora inascoltato. La colpa, sia ben chiaro, non voglio darla ai professori, ma a chi non ha ancora capito che la conoscenza di una materia non crea automaticamente un buon insegnante. L’ho sempre sospettato quando ero studente, ne sono certo oggi che sono nell’altro lato della classe.
Buona lettura.
Perché non imparano?
Christopher Humphris
Il concetto tradizionale dell’insegnante è di una persona che dà. “Insegnare” è un verbo attivo, cioè l’insegnante fa qualcosa; lo fa coscientemente, decide cioè che cosa farà e come lo farà, e poi lo fa. Si può fare un’analogia con l’atto di fare un regalo: si formula l’idea, si compra il regalo, e si porta il regalo al destinatario. Il destinatario non è attivo, riceve e basta. È passivo.
Però se spostiamo la nostra attenzione dal verbo “insegnare” al verbo “imparare” viene fuori un’altra visione delle cose. L’analogia fatta non regge più. Dopo che il donatore ha presentato il regalo, il destinatario lo possiede. L’atto attivo di “dare” determina per forza l’atto passivo di “ricevere”. Se una cosa viene data non può non essere ricevuta. Invece sappiamo che tante cose “insegnate” non vengono “imparate”. Conclusione: imparare è un atto attivo autonomo, cioè non dipendente da un atto di insegnamento.
Esaminiamo questo verbo “imparare “. Vuol dire passare da “non sapere” a “sapere” qualcosa. Il destinatario del regalo è passato da “non possedere” a “possedere” il regalo senza fare niente. Il discente, invece, come abbiamo detto, deve essere attivo se vuole passare da “non possedere” a “possedere” nuove conoscenze. Altrimenti, non impara. Il discente non è un destinatario, è un “appropriatore”, prende attivamente le nuove informazioni.
Visto da questo punto di vista il problema del “non imparare”, che è il problema di tutti gli insegnanti, prende tutt’un altro aspetto. Se una persona non impara qualcosa, non è perché l’insegnante non l’ha insegnata bene – abbiamo detto che i due verbi non sono dipendenti l’uno dall’altro. È semplicemente dovuto al fatto che il discente non ha preso. Prima di prendere una cosa una persona ha voglia di prenderla, le interessa o le serve. In queste condizioni la prende, la prende subito, tranquillamente; il discente si appropria della nuova informazione.
Però se la persona si trova in un ambiente in cui il suo diritto di prendere non è riconosciuto da chi ha più potere, avrà la tendenza a non prendere più, almeno quando il potere è presente. Parallelamente il discente che ha un insegnante che gli impone il ruolo di destinatario, è cioè l’insegnante che decide che cosa, quando e in che modo lui dovrebbe ricevere, avrà la tendenza ad assumere un ruolo passivo.
In quest’ottica il ruolo dell’insegnante sarebbe quindi quello di offrire ai discenti esperienze vastissime in modo che la probabilità di incontrare nuovi elementi di conoscenza sia maggiore e quindi maggiore sia la voglia di appropriarsene. L’insegnante dovrebbe inoltre dimostrare con una prassi costante di essere convinto che il discente è in grado di appropriarsi delle conoscenze da solo.
È quest’ultimo punto ad essere il più difficile; proprio perché implica l’abbandono totale della figura dell’insegnante che “interroga”, che “controlla”, che “segue” e che ha tutte le particolarità della chioccia.