Tratto dal corriere.it, inoltrato da Floriana Cassoni, che ringraziamo:
Beppe Severgnini,
Noi italiani riusciremo anche simpatici, ma siamo una nazione di pazzi scatenati. Introduciamo la legge sulla cittadinanza più generosa del pianeta – basta un trisnonno nato in Italia, e si può essere cittadini stranieri residenti all’estero – e non chiediamo NEPPURE una minima, timida, basilare conoscenza della lingua italiana.”Se ci pensate, è pazzesco. Lo fanno tutti gli Stati del mondo. Lo fa la Svezia e la Svizzera (tre lingue), il Canada e l’Estonia, l’Australia e gli Stati Uniti. Lo fa il Brasile. Alla Camera di Commercio qui a San Paolo, dove qualcuno è rimasto un po’ turbato dalla mia franchezza, mi hanno raccontato che per “naturalizzarsi” occorre un colloquio. In portoghese, ovviamente. “Sembra evidente, ma in Italia l’evidenza è un optional, come i sedili riscaldati sulle automobili. La legge voluta fortissimamente da Mirko Tremaglia – e scarsissimamente letta da chi l’ha votata – ormai c’è. Il nostro ex-ministro ha agito per passione personale (giusta) e calcolo politico (sbagliato, come s’è visto). Mi dicono che ora ha capito l’importanza della lingua: per il voto, e non solo. So di leader politici – destra e sinistra – altrettanto convinti. Forza, dunque: siamo in tempo. “In questo viaggio in Sudamerica – tre Paesi, sei grandi città – mi sono reso conto che l’introduzione del “requisito della lingua” avrebbe tre grossi vantaggi e risolverebbe, di colpo, altrettanti problemi. Il primo: è giusto e opportuno. Imparare la lingua è la prima prova d’interesse e amore per un Paese. Gli opportunisti – quelli che vogliono il passaporto italiano per far compere a Miami, e/o volare in Spagna senza visto (e quanti sono!) – verranno scoraggiati. Lo stesso vale per i superficiali. In questa categoria metto, e mi dispiace, Marisa Lula, moglie del presidente brasiliano. La signora ha detto d’aver chiesto (e ottenuto) il passaporto italiano per il bene dei figli (“Non si sa mai!”), ma di non capire le istruzioni per il voto. Due affermazioni bizzarre in un colpo solo: complimenti. Secondo vantaggio: l’obbligo di conoscenza della lingua ridurrebbe il numero delle domande, e sfoltirebbe le folli liste d’attesa (in Argentina e Brasile si parla ormai di 2010). I nostri consolati sono allo stremo: non solo devono affrontare l’onda anomala delle richieste, ma inseguire gli aventi diritto al voto (dopo le elezioni, ci sono i referendum). A proposito: perché cavolo bisogna inseguire la gente e pregarla di votare, spedendo plichi che vanno perduti secondo elenchi impossibili da aggiornare? Se il voto è un diritto, gli aventi diritto si facciano avanti. O no? “Terzo vantaggio. La necessità della lingua per il passaporto porterebbe gente, interesse e soldi ai nostri Istituti di Cultura (che ne hanno bisogno). Metterebbe il turbo alle attività italiane all’estero (dai commerci all’editoria, dal cinema al teatro). Aiuterebbe i nuovi italiani nel mondo a entrare nella vita nazionale (penso al lavoro, ai viaggi, ai media). Ripeto. Una modifica in questo senso non è crudele: scoraggia invece i pigri e i furbi, e aiuta tutti gli altri. Martedì ho parlato col neo-senatore Edoardo Pollastri, eletto (in extremis) in Brasile. Dopo averlo sgridato per un’intervista alla rivista “Veja” – dove ha spiegato come si sente brasiliano, ma s’è dimenticato di ricordare quant’è italiano – abbiamo parlato della “questione della lingua”. L’ho trovato aperto e ragionevole: “Mi citi pure: è una necessità e un’urgenza. Dobbiamo fare qualcosa, e possiamo farlo. Probabilmente basta un atto amministrativo. “Che dire? Sembriamo d’accordo in tanti. Avanti, dunque. Che aspettiamo?
io stessa ho conosciuto a barcellona una studentessa argentina di quasi 40 anni, simpaticissima donna, che aveva la carta d’identità italiana e tutti i suoi vantaggi, ma che di certo non sarà mai andata una volta a votare…detto questo… ho perso il filo del discorso…
ritorno più tardi