Partiamo dall’oggetto in questione: il lettore ottico capace di riconoscere immagini e testi dattiloscritti o stampati, più comunemente chiamato scanner. La prima volta che il vocabolo inglese entrò nell’italiano scritto fu nel 1965 come “strumento elettronico in grado di esplorare aree specifiche del corpo umano o zone particolari di un materiale, con applicazioni diverse in varie discipline scientifiche”.
Il processo di leggere il documento tramite scanner (dall’inglese to scan=esaminare), invece, risalì al 1979 in testi specialistici definendo “l’acquisizione di immagine o testo tramite scanner”. Da questo momento in poi l’italiano ha scatenato la fantasia più astratta e sfiorato l’abominio grammaticale adattando alla base lessicale inglese suffissi verbali regolari. Si passò nel 1994 al poco usato “scannerare” al più consueto “scannerizzare” un anno dopo.
Nel 1998 si creò una diramazione alquanto controversa del suo utilizzo: dall’atroce “scannare” che, per fortuna si ode sempre più raramente in copisteria, fino ai più legittimi “scansionare” e “scansire”, quest’ultimo molto meno presente nel parlato comune. Infine, abbiamo il verbo più appropriato “scandire”, verbo che deriva dal sostantivo “scansione”, in cui l’accezione nel campo elettronico si aggiunge con naturalezza a quella originaria appartenente alla tecnologia della trasmissione televisiva, ovvero “analizzare mediante un fascio elettronico i punti in sequenza di un’immagine da trasmettere”.
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