Proponiamo oggi una lettura complessa e colta.
Si tratta di un raffinato confronto tra due libri la cui attenta lettura e analisi non dovrebbe mancare nel bagaglio di un insegnante di italiano a stranieri. I due libri in questione sono Verso l’italiano, curato da Anna Giacalone Ramat e il Quadro comune europeo di riferimento per le lingue, realizzato dal Consiglio d’Europa.
L’articolo è stato pubblicato sul Bollettino Dilit dello scorso anno, e porta la firma di Roberto Aiello.
Cliccate sul link e buona lettura.
Paragrafi per un confronto fra il Quadro comune europeo di riferimento per le lingue e Verso l’italiano – Percorsi e strategie di acquisizione
– Roberto Aiello
Avete fatto bene, voi di Il due blog, a postare il link all’articolo di Aiello pubblicato sul Bollettino Dilit. Avete fatto bene perché aprire una discussione su temi così importanti è sempre cosa interessante. Il lato negativo della medaglia, purtroppo, è che, inevitabilmente per un blog, si possono dire cose false, errate, assai poco approfondite.
E, questo, non solo sul blog ma, anche, nell’articolo di Aiello stesso e negli altri tre articoli pubblicati dal Bollettino Dilit negli anni 2012 e 2013, tutti dedicati al confronto fra il Quadro e Verso l’Italiano (http://www.dilit.it/formazione/articoli.php?ordina_per=anno).
La tesi sostenuta dal Bollettino della scuola romana è che – in buona sostanza – il Quadro sia un reale strumento di ausilio didattico, in cui il discente è visto come persona nella sua interezza, in cui la lingua viene vista come mezzo per raggiungere degli scopi etc. A Verso l’italiano non vengono risparmiate critiche; in particolare, la curatela di Giacalone Ramat viene tacciata di “grammaticismo” – dunque di occuparsi solo di grammatica “dura e pura”, di spersonalizzazione dello studente e di cadere in un tranello nemmeno troppo sofisticato: da un lato si sostiene che i percorsi acquisizionali presentati siano frutto di un’esposizione all’input completa, dall’altro (in particolare viene citata Lo Duca) si auspica un input di classe controllato, in cui le strutture siano presentate in un certo ordine (conforme alle sequenze acquisizionali) e in cui l’input difficile da acquisire sia reso più saliente, ridondante etc.
Tre dei quattro articoli del Bollettino Dilit citano questa dicotomia e tacciano il lavoro di Giacalone Ramat e colleghi di essere incoerente e di essere eccessivamente prescrittivo in termini didattici.
Il dibattito è acceso e impossibile da riassumere in questo luogo. Va di certo detto che l’approccio puramente comunicativo à la Krashen è morto e sepolto da tempo, è evidente e chiaro – proprio dalle ricerche acquisizionali – che numerosi tratti delle lingue target non vengano appresi solo grazie all’esposizione all’input ma che un’intervento esterno sia necessario per far progredire le interlingue dei discenti. Si pensi ai risultati degli approcci comunicativi all’insegamento del francese ad anglofoni in Canada, ad esempio: già da fine anni ottanta si era capito che un insegnamento puramente comunicativo non fosse possibile.
Voglio dire, in buona sostanza: “ieri andato casa” è puramente comunicativo, si capisce bene. Certo non basta, a nessuno.
Gli studi acquisizionali, tanto criticati dal bollettino Dilit, ci fanno capire quali sono i limiti degli apprendenti, limiti trasversali a tutti gli apprendenti e difficilmente sormontabili. La linguistica acquisizionale ci fa vedere ciò che non c’è – o che c’è con difficoltà – ed è questo il suo pregio, a mio parere. Su questo possiamo strutturare alcune pratiche del nostro lavoro, pratiche che possono essere richiami attenzionali, correzioni mirate in attività dialogiche, interazioni pensate ad hoc con i nostri studenti o, semplicemente, una ideazione di un sillabo a spirale che ritorni con frequenza su quegli aspetti della grammatica che vengono difficilmente imparati. Sì, grammatica! Grammatica! Esiste anche quella, in essa i fenomeni comunicativi trovano ragione, trovano corpo.
Non mi pare dunque che Verso l’italiano remi contro una buona didattica linguistica, tutt’altro. E’ complementare a una buona didattica linguistica. Verso l’italiano, certamente criticabile per alcuni aspetti, fa vedere cosa c’è e cosa non c’è in una condizione semi-zero di insegnamento. Da lì parte il nostro lavoro.
Per altro, si veda il Profilo della lingua italiana, edito da La nuova italia nel 2010. Il Profilo è la declinazione, la traduzione (per citare una curatrice) dei descrittori del Quadro per l’italiano. E’ un libro utilissimo che ci spiega il cosa e il come ai vari livelli del Framework per l’italiano. Il terzo capitolo in particolare si occupa dei descrittori linguistici, ovvero anche le declinazioni grammaticali della competenza comunicativa. Citando da pagina 45 del Profilo: “tuttavia, soprattutto in ambito di insegnamento, per tentare di cogliere più in profondità la complessità dell’apprendimento linguistico, in particolare le sue sequenze evolutive e le loro variabili […], il ricorso ad altri punti di riferimento può essere di supporto per gli insegnanti allo scopo di gestire più efficacemente le loro scelte operative nella didassi quotidiana. Riferimenti utili possono essere i risultati degli studi di ricerca volti ad analizzare gli aspetti dell’apprendimento spontaneo dell’italiano come L2 (Giacaolone Ramat 1993, 2003; Bettoni 2006; Bettoni e Di Biase 2005, Bernini e Giacalone Ramat 1990, per citarne alcuni)”.
Ecco, mi pare che persistere con dicotomie e contrasti vari – e volerli segnalare in modo così semplicistico come fatto dagli articoli della Dilit – sia cosa più che deleteria, oggi.
Una didattica che sappia guardare a più cose, che non si rinchiuda nella sua verità ma che si faccia anche scienza, dunque falsificazione e spinta, è ciò a cui forse dovremmo anelare.
Paolo Della Putta
Alberto, credo tu non abbia ben chiara la differenza fra il quadro teorico della linguistica acquisizionale (Pienemann) e quello che si richiama alla teoria generativista (Chomsky e White).
Un po’ di ordine fra le tue conoscenze sarebbe opportuno: Gabriele Pallotti, La seconda lingua, Milano, Bompiani, 1998.
Interessantissimo articolo! Grazie Porfido per averlo postato e grazia a Roberto per averlo scritto.
Faccio alcune considerazioni.
Premetto di non aver letto la parte introduttiva di Verso l’italiano, ma se l’interpretazione di Roberto coglie nel segno mi pare una visione della linguistica acquisizionale piuttosto rozza quella degli autori. Come è stato messo in evidenza (Lydia White) l’aspetto ‘magico’ della linguistica acquisizionale non è tanto la mappatura delle sequenze di apprendimento, lavoro di per sé di ‘bassa manovalanza’, quanto piuttosto capire quali aspetti dell’input innescano (trigger) il passaggio da uno stadio acquisizionale all’altro. Solo ponedosi da questo punto di vista si può immaginare di agire sulla mente come si agisce su una macchina di Formula 1. La gagliardata sarebbe se in questo modo diventasse possibile imparare il turco in due settimane: zac questa parolina, prossimo stadio, e arizac quest’altro suono, prossimo stadio, zabom un avverbietto cattivello e via al prossimo livello, ecc.. Il fatto è che, almeno per quanto ne so (il che è poco e in tal caso chiedo di indicarci nuovi studi a chi ne sa di più), neanche per l’inglese, ossia per la lingua il cui apprendimento è stato mappato più di tutte le altre, si è anche solo lontanamente vicini ad una raffinatezza di studi del genere. Tanto più che molti sospettano che tali elementi innescanti siano elementi lessicali o fonologici in particolari contesti sintattici. E vallo a sapé allora come graduare l’input!
Dire che è meglio insegnare una competenza che è incipiente piuttosto che una ancora sepolta nell’interlinga mi pare piuttosto banaluccio. È un po’ come dire che le cipolle del soffritto vanno tolte dal fuoco quando sono dorate prima che brucino. Non posso credere che eminenti linguisti abbiano detto (solo) ciò. Tanto più che è ben attestato dalla stessa White che una sovraesposizione ad una struttura dà risultati egregi nel breve termine, ma già a medio termine gli studenti si riafflosciano sugli errori precedenti all’intervento didattico bombardante. Davvero in Verso l’italiano si dice che bisogna bombardare lo studente di struttura poco prima della polluzione? Così mi pare il gioco dei chiromanti che fanno dire al beota e poi concludono la loro la frase con un bel “Vedi che io l’avevo capito?”.
Tralascio per carità di patria il fatto che in istituzioni rette da tali eminenti linguisti si seguono sillabi da “una struttura grammaticale al giorno toglie la protesta dello studente pagante di torno”. Ho visto cinesi che balbettavano passati prossimi senza ausiliare venire edotti su passivi con “venire” e “andare” conditi da puntarelle di differenziazioni fra “si” passivante e “si” impersonale. Strabbuzzavano!
In definitiva, mi pare che ancora oggie e credo ancora per molto tempo avvenire, per un insegnante che voglia formarsi decentemente sia da una parte obbligatorio avere un’infarinatura di quali sono gli stadi acquisizionali dell’italiano e dall’altra esercitarsi a sviluppare nei suoi studenti la capacità di fare domande di grammatica, che per non sapre né leggere né scrivere mi pare ancora la migliore garanzia di intervenire al momento giusto.
Pingback: Quadro comune vs Verso l’italiano » Tukaribishane
Come giustamente dici tu, caro porfido, lettura complessa e colta e aggiungerei anche indispensabile, per chi fa il nostro lavoro. Bello e stimolante l’articolo di Roberto Aiello, da leggere e rileggere 100 volte perché gli spunti di riflessione, e discussione, sono veramente numerosi e di buon livello. Grazie!