Luciano Mecacci è uno psicologo italiano. È stato professore ordinario di psicologia generale presso la Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Firenze e ricercatore dell’Istituto di Psicologia del CNR di Roma. Ha lavorato nell’Istituto di Psicologia di Mosca, nel Laboratorio di Neurofisiologia del CNR di Pisa e nel Laboratorio di Psicologia Sperimentale di Parigi.
Studioso dell’opera di Lev Vygotskij, ha curato nel 1990 la prima traduzione mondiale integrale dal russo del libro “Pensiero e linguaggio”, e sta curando una edizione critica del testo originale russo.
Questa è soltanto una tra le numerose interviste rilasciate dal Professor Mecacci e reperibili su youtube.
Ve la propongo perché mi sembra fondamentale per una determinata idea di didattica (al di là delle lingue, ma anche e soprattutto nell’insegnamento delle lingue).
Badate bene al riferimento costante all’insegnante come organizzatore di materiali per la realizzazione di progetti, coordinatore, punto di riferimento per un miglior utilizzo di risorse e, d’altro canto, al concetto di Zona di Sviluppo Prossimo che, nelle successive specificazioni del professore, non è esclusivo risultato di un rapporto tra bambino e adulto (come quasi esclusivamente viene interpretato il pensiero di Vygotskij), ma è l’opportunità data al discente che agisce nel contesto della comunità d’apprendimento predisposta dall’insegnante.
Per tutti quelli che hanno lavorato, lavorano e lavoreranno con classi miste, siano esse nel contesto della scuola pubblica o privata, mi sembra di grande interesse la testimonianza di una didattica “altra”, già dimostrata nella sua efficacia, che garantisca la riuscita della collaborazione tra competenze differenti, anche molto lontane, e che affermi con forza che lo studente “più bravo” non è danneggiato dal rapporto con quello più svantaggiato m a, al contrario, potenzia ulteriormente le proprie capacità e, mi permetto di aggiungere, impara dimensioni che non conosce.
Per tutti quelli che hanno spesso rinunciato al gioco, capire la valenza del gioco come possibilità di maturazione sociale, morale, culturale e dunque linguistica (se accettiamo la visione di lingua in quanto strumento e risultato della comprensione del mondo portato avanti da pensatori quali Bruner) e rinunciarvi, non potrà, da questo momento in poi, avere altra giustificazione se non la stanchezza o la mancanza di tempo nell’organizzazione delle condizioni migliori per far accettare il gioco stesso (anche nelle classi più difficili, visto il valore che esso ha).
Concludo con le considerazioni sull’uso del PC che a me sembra ora un’enorme biblioteca da cui selezionare libri diversi, tutti connotati culturalmente, estremamente difficili da gestire per la creazione di una società-classe efficace.
Interpretazione troppo estrema?
Articolo di Katia D’Angelo