Non sempre la lingua è bella. A volte, spesso è brutta. Altre volte, come nell’immagine che accompagna questo articolo, diventa un’inconsapevole linguaccia che si prende gioco dei significati e cambia umore, il tutto per eccesso di zelo istituzionale da parte di chi la tira fuori.
Più grave è quando la linguaccia viene messa in faccia a chi non può capirla proprio affinché non venga capita, proprio per far sì che la comprensione sia vanificata da una forma arzigogolata e involuta. È questa una lingua che crea disparità sociale, che chiude porte e tiene fuori, che è lo specchio della cultura di un Paese che ambisce a definire spazi di potere in luogo dell’inclusione.
Un decennio fa si discuteva molto dell’abbandono del burocratese che oggi, a quanto pare, sta tornando in grande spolvero, come ci racconta un articolo segnalato da Piroclastico.
“All’uopo” e “obliterare”: il ritorno del burocratese
Uffici pubblici: la lingua chiara non è più un obbligo. La norma era stata introdotta 12 anni fa: i cittadini dovevano capire senza essere costretti a decifrare Era prevista la nascita di una task force di esperti con un numero di telefono “sos lingua”. Ma tutta l’operazione è stata soltanto una sconfitta…
Dove trionfa l’antilingua – l’italiano di chi non sa dire “ho fatto” ma deve dire “ho effettuato” – la lingua viene uccisa. Italo Calvino, L’antilingua, 1965