Dopo aver letto l’articolo di Porfido 321via.ch per una visione pluricentrica dell’italofonia, che tratta di progetto finanziato dall’Ufficio federale della Cultura nel quadro dell’Ordinanza sulla legge sulle lingue (se non si fosse capito siamo in Svizzera), mi sono chiesta se e che tipo di progetti venissero finanziati in Italia per promuovere la lingua italiana in epoca di tagli orizzontali che non risparmiano la cultura (sul bonus dei 500 euro non mi pronuncio nemmeno).
E così, mentre ricercavo nei meandri dei miei bookmarks qualche spunto, ecco riaffiorare due perle su cui confesso non clicco mai, non considero come fonti, né come ispirazione per le mie lezioni, ma non posso esimermi dal condividerle con voi.
All’inaugurazione di Italia.it, invece, avevamo anche dedicato un articolo nel lontano 2008, anno in cui vide la luce. Nel frattempo, se non ve ne foste accorti, è cambiato il logo, sono state aggiunte sei lingue e continuano gli aggiornamenti degli eventi culturali.
Non so quanti di voi lo usino a lezione ed è quasi un vero peccato, perché la sezione “notizie” (più che quella video) fa davvero venire la voglia di spegnere il computer, lasciare questo articolo a metà e partire per una delle destinazioni che si palesano sullo schermo!
Meno in sordina e preceduto da tante polemiche -giuste!- nel 2015 in occasione dell’Expo di Milano nasce Very Bello, il sito a cui viene affidata la pubblicità delle attività culturali. Attualmente dell’offerta culturale legata all’evento non vi è più traccia, ma fortunatamente rimane l’ironia del web. Ricordo, infatti, la bufera che si scatenò sul Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini, che cavalcò l’onda (o pensò di averla cavalcata) con ironia very disdicevole. A mio avviso l’abbinamento funesto delle parole in due lingue diverse era sgradevole, di cattivissimo gusto, inopportuna, nonché non funzionale agli obiettivi del sito che doveva parlare di Italia e italianità, di offerta culturale, di opportunità sul territorio, ma soprattutto doveva essere un’occasione per farsi conoscere vista la mole di turisti prevista a Milano e di conseguenza in Italia.
Franceschini mi risulta tuttora, a più di un anno di distanza, ancora indifendibile e indigesto. In quella sottospecie di slogan era riuscito ad affossare quello per cui più ci distinguiamo: il bel suono della lingua italiana, la creatività, l’ideazione, la fantasia, l’originalità, valori e peculiarità di cui il Ministro stesso avrebbe dovuto avere consapevolezza e che avrebbe dovuto tutelare e far fruttare.
Del resto, una nota caratteristica del comportamento nazionale consiste nel sottovalutare sistematicamente ciò che di bello e desiderabile ci appartiene, dal paesaggio all’arte allo stile di vita, dalla creatività all’intraprendenza, alla lingua, appunto, rinunciando quindi a valorizzarlo in maniera adeguata. Rinunciando, poi, a praticare le indispensabili opere di manutenzione, materiali e immateriali. E rinunciando perfino a essere, giustamente, orgogliosi.
La riflessione è di Annamaria Testa ed è tratta da Il potere morbido della lingua italiana (pubblicato oggi su Internazionale). La giornalista nella sua analisi dà voce, o meglio amplifica, ma anche accarezza il mio scoramento, perché denuncia quanto nel Belpaese si ignorino le potenzialità dell’italiano e il successo che il “potere morbido” (soft power, cioè quella capacità di persuadere l’altro a fare delle scelte senza imposizioni) potrebbe assicurarci in vari campi. La Testa afferma: “Il fatto è che la capacità attrattiva di una lingua è un importante fattore di soft power” e questo Franceschini lo ha ignorato del tutto.
Percezione e conoscenza
Poiché il soft power è fatto di reputazione e di desiderabilità, una nazione lo può esercitare in modo efficace perfino senza essere una grande potenza economica o militare. Esiste una classifica internazionale del soft power: nel 2016 l’Italia è undicesima, prima della Spagna e dopo i Paesi Bassi, e sta guadagnando posizioni.Promuovere la lingua italiana (e magari cominciare a trattarla meglio, anche in patria) può aiutarci ad avere prestigio nel mondo e ad accrescere il nostro soft power. E, diciamolo: per l’Italia promuovere l’italiano, già in sé così desiderabile, è molto più facile di quanto non sia per il Pakistan promuovere l’urdu. O per la Cina promuovere il cinese.
Ma non solo: promuovere l’italiano può aiutare le nostre imprese a diffondere e difendere i loro prodotti all’estero, posizionandoli nel segmento alto di gamma per il solo fatto di essere autenticamente italiani. Promuovere l’italiano (e usarlo per i nomi dei prodotti, per la pubblicità, per i marchi…) aiuta anche a contrastare il fenomeno deteriore dell’italian sounding: prodotti fatti all’estero, che si vestono di italianità proprio “parlando” italiano. È uno scherzo che vale 60 miliardi di euro e 300mila posti di lavoro.
Concludo, come fa la Testa, con gli Stati Generali della Lingua Italiana 2016 (anche domani in streaming qui), in occasione dei quali viene lanciato un sito: Il portale della lingua italiana. Cosa vi aspettereste da questo portale patrocinato da tre ministeri, tre università e tre istituzioni che si occupano di cultura?
Certo è che nel mondo cresce il numero delle persone che hanno necessità o piacere di imparare l’italiano. A loro è dedicato questo portale, un canale di accesso completo e ordinato all’insegnamento della nostra lingua all’estero e, più in generale, agli stranieri. Chi vuole studiare l’italiano troverà qui informazioni, indirizzi, notizie e approfondimenti.
Se vi aspettavate corsi, materiali, spunti e/o classi capovolte sappiate che di accattivante, di originale e di moderno non c’è nulla. Di pratico, di utile, di interessante da voler condividere con gli studenti tanto meno. Solo informazioni. Il sito è pura apparenza, una facciata scialba, basta dire che nella sezione online c’è un unico link a un corso online di lingua italiana offerto da un’università americana (consigliato, per giunta, a chi ha un minimo di familiarità con l’inglese).
Alla voce Osservatorio (cliccando su Lingua) si possono leggere i dati degli studenti di italiano all’estero e quelli che studiano all’IIC sono nettamente inferiori rispetto a quelli della Dante Alighieri, quasi la metà! Gli IIC, invece, dovrebbero essere il baluardo della diffusione della lingua italiana nel mondo, perché sono nati apposta. Molti di noi si sono fatti le ossa negli IIC, molti ci lavorano ancora in condizioni precarie e instabili, ma fanno andare avanti queste strutture che senza corsi di lingua non hanno motivo di esistere. Quello che proprio non digerisco è il fatto che molti IIC sono stati chiusi e adesso il flusso di studenti che passa di lì si è nettamente ridotto, mentre aumentano esponenzialmente gli studenti degli enti gestori e quelli che preferiscono “altri contesti di apprendimento” superano di cinque volte quelli iscritti negli IIC.
Ma poi questi altri contesti, cosa sono esattamente? Queste stime su che dati si basano?
A noi mortali non è dato saperlo.
A noi mortali rimane lo struggimento.
P.s. 1. Annamaria Testa ha partecipato oggi alla tavola rotonda “L’italiano nelle strategie di comunicazione” degli Stati Generali.
P.s. 2. Devo ammettere che ho utilizzato un testo di Italia.it sul Carnevale.
Carissimi, grazie per i commenti.
@ Fabrizio, d’altronde gli IIC sono diventati il modo per sistemare personaggi dal CV curioso, sono nomine politiche che nella maggior parte dei casi partecipano a un gioco malato, incompreso ai più che ci orbitano. Il direttore di Bcn di tanti anni fa ci ha fatto patire le pene dell’inferno e tutti noi gli abbiamo intentato cause, sia in Spagna che dall’Italia. Vabbeh.
@ Elena: queste istituzioni non fanno soldi con i CPIA e quindi non ne parlano (forse fanno soldi con la formazione a chi ci lavora, ma è meno interessante da dire o forse sono davvero pochi soldi). Sono talmente maldestre da non riuscire nemmeno a tirare acqua al proprio mulino, figuriamoci inserire contenuti seri nel portale. Insomma, ci siamo capite.
Articolo come sempre preciso e documentato.
Le solite tristezze italiane. La solita, cronica incapacità di utilizzare i nostri talenti.
Tra l’altro vorrei sottolineare come in questo “Portale della lingua italiana” a cui, come sottolinea Ladylink, hanno pesantemente lavorato tre ministeri, tre università e altre istituzioni, alla voce “Corsi”, dopo aver scritto che la lingua italiana si può imparare all’estero presso gli Istituti Italiani di Cultura, la Società Dante Alighieri, vari enti eccetera eccetera, le migliaia di insegnanti di italiano agli stranieri IN ITALIA e le migliaia di studenti stranieri IN ITALIA, vengono liquidati in una riga:
“Infine, è possibile frequentare corsi di lingua italiana per stranieri in Italia.”
Non una riga in più sulle scuole italiane statali (e non) dove viene insegnato l’italiano agli stranieri. Non una parola sui CPIA dove migliaia di stranieri imparano la nostra lingua. Non una parola sugli insegnanti di italiano agli stranieri.
Very bello!
Bell’articolo, come sempre. Stimolante, pieno di spunti e d’informazioni, come nel tuo stile, cara ladylink. D’accordo su tutto, soprattutto sul ruolo che dovrebebro avere gli IIC nel mondo e che invece continuano a funzionare, quando lo fanno bene, solo grazie all’onestà e alla profesionalità di alcuni/e Direttori/Direttrici e non perché ci sia una programmazione chiara e lungimirante dietro…