Da circa una quindicina d’anni va molto di moda la grammatica induttiva. Reazione al metodo grammaticale-traduttivo ed ad una concezione elitistico-normativa che spiegava prima la regola e poi chiedeva agli studenti di applicarla, l’approccio induttivo allo studio della grammatica riconosce al contrario che essa è una scienza descrittiva e che lo studente apprende meglio se è stimolato a rendere espliciti i ragionamenti di sistematizzazione della sua interlingua.
A me piace questa idea e mi convince pure, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo delle capacità di analisi linguistica e le loro positive ricadute su tutta la vita di un essere umano. Tuttavia… mi pare che ultimamente si sia virato su una rotta che conduce a delle secche ed inoltre che delle volte si sia decisamente sorpassato il segno.
Per quanto riguarda il primo aspetto mi riferisco all’accoglimento che l’idea dell’apprendimento induttivo ha avuto nelle pubblicazioni per la classe. L’approccio induttivo secondo me è vitale solo se si realizza attraverso un’interazione fine fra insegnante e studenti. La sua funzione infatti è quella di stimolare gli studenti a farsi domande su quello che vedono. Se davanti ad un testo pieno di occorrenze di passato prossimo gli studenti che ho davanti non vedono nessuna differenza fra i verbi con ausiliare “essere” e i verbi con ausiliare “avere”, sono io che faccio l’insegnante che li devo guidare, attraverso un gioco di fuoco-fuochino-focherello a vedere quello che prima non vedevano. Questo tipo di lavoro di lima lo può fare solo un essere fornito di umana sensibilità, ossia presente in carne ed ossa. Non lo può fare un autore che scrive un libro per lo studente-tipo (che non ha mai né carne, né ossa). Utilissimo il libro che chiede di raggruppare in una tabella delle occorrenze di un fenomeno grammaticale, ma quando poi si tratta di tirare le fila della classificazione, ossia di accogliere e criticare le ipotesi degli studenti, qui i manuali mostrano proprio la corda. Quello che vedo in giro sono spesso scelte multiple tipo “L’articolo ‘LO’ si mette davanti ai nomi che iniziano con…[seguono tre scelte possibili di cui una sola è quella giusta]”. Per me questa pratica tradisce in due modi l’approccio induttivo. Primo perché fornisce già parte della risposta, dicendo agli studenti che la questione dirimente per la scelta dell’articolo è il fonema iniziale del sostantivo. Questa è una parte della scoperta che sta agli studenti fare. Secondo riduce la complessità del fenomeno linguistico in modo sbagliato, declassandola al livello di quiz. Il gusto della ‘scoperta scientifica’ sta proprio nel trovare una forma regolare in un supposto caos. Nessuno aveva dato a Galilei una scelta multipla fra tre tipi di universo possibile.
Passo ora al secondo ordine di critiche che ho menzionato più sopra e cioè al fatto che si sta esagerando. La mia argomentazione si basa su due punti.
Primo, la grammatica induttiva non può sostituire lo studio della sana e vecchia grammatica deduttiva. Per due ragioni. La prima è che anche saper consultare il Serianni o anche solo il Nocchi è un’abilità che va imparata. Allora la grammatica deduttiva non sarà più tanto o solo lo schema alla lavagna, ma la lettura della regola di grammatica sul Nocchi. Anche, e forse soprattutto, questo deve fare un insegnante in una lezione di grammatica. La seconda ragione è che il progresso scientifico si basa sulle acquisizioni di chi è venuto prima. Bisogna rassegnarsi, soprattutto arrivati ad una certa età: la stragrande maggioranza di noi non è Serianni. Molto pochi di noi scopriranno nuove regolarità della lingua italiana facendo esercizi con Yuko, John e Britta. Juko, John e Britta lo sanno ed è per questo che ad un certo punto con lo sguardo e la smorfia labiale cercano di comunicarti: “Sì, vabbè, ho capito, è un bel gioco, mi sono anche divertito, ma questa volta dimmi subito qual è la regola, ché lo so che la sai perché l’hai studiata su un libro di grammatica sennò col cavolo che la sapevi spiegare.”. Un qualcosa di simile diceva uno storico (non mi ricordo il nome, Ricuperati mi pare, ma se volete proprio vado a reperire la citazione) che si era occupato di didattica della storia e criticava l’entusiasmo settantottino per la storia induttiva e locale, diceva (vado a memoria): “Sarebbe come se ad uno studente di fisica si chiedesse di rifare da solo, scoperta dopo scoperta, tutto il percorso scientifico che dall’animismo ha portato alla teoria dei quanti.”.
Il secondo punto è che certi argomenti si prestano poco a fare l’approccio induttivo. Ultimamente ho visto un’attività di grammatica che chiede agli studenti di classificare i condizionali in base alla loro funzione: esprimere un desiderio, un ‘insicurezza, una richiesta gentile, una possibilità. Messo nei panni di uno studente m’è venuto spontaneo pensare: “Ma che sto facendo un corso di logica formale?”. Certe sottigliezze possono anche essere stimolanti intellettualmente ma credo aiutino poco dal punto di vista della capacità di saper fare con la lingua, che poi è quella che interessa di più allo studente medio. Stesso discorso mi pare si possa fare per la semantica. Prendiamo per esempio la posizione degli aggettivi, cosa mai posso notare fra “un vecchio amico” e “un amico vecchio” se non lo so già? Probabilmente ce ne sono altri, ma non mi vengono in mente mentre scrivo.
In conclusione, credo utile fare uso dell’approccio induttivo, a patto però di affiancarlo anche a quello deduttivo, di non appoggiarsi passivamente ai quesiti proposti dai testi e di saper scegliere con oculatezza l’opportunità in base al fenomeno linguistico che si vuole fare studiare.
Per me l’approccio comunicativo porta gli studenti ad acquisire una lingua povera e massificata, priva di creatività. E, a dirla tutta, odio pure la grammatica.
Sono d’accordo. E’ diventato un dogma, come l’approccio comunicaticativo, ingabbiato in nozioni e funzioni.
@ Ciro: Anch’io ti ringrazio tanto per l’opportunità di dialogare.
Dal tuo intervento non ho ben capito se sostieni che un approccio pragmatico sia necessariamente incompatibile con un’esplorazione più profonda della lingua. Mi pare che forse stiamo dicendo le stesse cose in modi diversi.
Quello che penso io è che grammatica e pragmatica si rincorrono un po’ confusamente nel processo “naturale” di apprendimento e dunque si possono e si devono conciliare.
Continuando col condizionale e facendo l’avvocato del diavolo: la dipendenza da una condizione conta nelle frasi composte, nelle frasi autonome, invece, anche se c’è comunque una condizione sottintesa, quello che conta sono le funzioni basiche (desiderio, richiesta, ecc) la cui identificazione, appunto, è pragmaticamente necessaria già agli stadi iniziali dell’apprendimento. Per me, si può aspettare ad approfondire la questione nei livelli avanzati (e lo fanno, per es, Universitalia, Magari e il vecchio Due), mentre sapere come chiedere il caffè in modo educato è “urgente”. In questo senso, per me, non si tratta di presentazioni lacunose, ma di rispettare le sequenze di acquisizione.
Quando parli della consapevolezza dell’insegnante non ho capito se ti riferisci alla strategia didattica o alla grammatica, comunque, nei due casi, sono completamente d’accordo. Non basta affidarsi al manuale, anche se è ben fatto; e non basta una conoscenza da manuale scolastico per la grammatica, anche se si insegna ai livelli più basici, perché (forse qui non siamo d’accordo) quanto più si approfondisce lo studio della lingua, meno astratte sembrano le regole e più facile diventa presentarle in modo pratico.
@ DAl Brasile: la frase l’ho inventata senza avere in mente nessun esercizio da libro. Sono d’accordo con te che se si chiedesse di individuare se si tratti di un desiderio o di una richiesta andrebbe chiarito dove essa viene enunciata. Il punto pero’, secondo me, non e’ questo. Non ho perplessita’ sul fatto che venga insegnato, induttivamente o deduttivamente, che il condizionale serve per risultare meno impositivi mentre si richiede qualcosa o che serve per esprimere qualcosa che che si desidera; ho preplessita’ sul fatto di proporre un esercizio che faccia identificare quando un condizionale esprima l’uno o l’altro di questi due obiettivi pragmantici. Lo trovo un esercizio classificatorio inutile e potenzialmente dannoso. In quasi tutti i manuali che conosco il condizionale viene spiegato a partire dalle (piu’ diffuse) funzioni pragmatiche che realizza. Cio’ consiste in una specifica strategia didattica, di per se’ non sbagliata che tuttavia, va riconosciuto, aggira per motivi di supposta opportunita’ (quanto verificati?) il nodo logico centrale del modo condizionale che consiste nell’esprimere che un fatto non non si puo’ realizzare se non a patto di una preliminare condizione. Se come insegnanti non si ha consapevolezza di questo si finisce per rimanere intrappolati nella propria strategia didattica e quindi per proporre esercizi in cui si chiede di distinguere fra una possibilita’ e un desiderio in frasi come “Lui verrebbe con noi, ma non sa ancora se sara’ libero.” dove le distinzioni a mio modo di vedere sono piuttosto insicure. Per questo parlavo di opportunita’ di usare un approccio induttivo. Se per motivi didattici anche giustificabili si e’ scelta una strategia debole dal punto di vista grammaticale, poi e’ controproducente chiedere di fare esercizi che chiedono di categorizzare in modo forte.
Ti ringrazio molto per il tuo commento, perche’ mi ha riportato alla mente discorsi che facevo con un collega ormai quasi dieci anni fa che riguardavano come sia ambigua e lacunosa la presentazione didattica delle funzioni dei modi verbali. Il condizionale viene spessissimo presentato e spiegato insieme ai verbi o locuzioni che esprimono gia’ di per se’ un desiderio o una possibilita’ (MI PIACEREBBE, VOLERE e POTERE), il che secondo me non semplifica, ma confonde. L’imperativo, stando alle note di grammatica di molti manuali, sembra si usi solo per dare consigli e dare istruzioni, mai per pregare, non dio ma esseri umani. Ci sarebbe da chiedersi perche’ per il condizionale viene sempre proposto di fare una distinzione fra le funzioni pragmatiche e invece non mi pare di aver mai visto un esercizio che chiede: “Distingui gli imperativi nel testo fra quelli che esprimono un consiglio, una richiesta o una preghiera.”.
Credo che proprio su questi argomenti la glottodidattica dell’italiano che ormai sembra in una fase di stallo (da una decina di anni escono sempre piu’ libri piu’ o meno buoni ma tutti basati sulla stessa struttura e linee guida) potrebbe dire qualcosa di nuovo e potrebbe farlo proprio recuperando qualcosa da quella necessita’ di astrazione che viene servita dalle ‘fredde’ regole grammaticali.
Ciao Ciro, l’attività che descrivi è interessante, ma, almeno con il tipo di studenti che ho io di solito, preferisco la strada inversa.
Su “Vorrei un caffè.” se l’esercizio dava le frasi senza contesto non si può fare niente evidentemente, non c’era neanche un disegno?
@ Dal Brasile: per me leggere regole di grammatica e cercale di applicarle e’ utile e se fatto insieme ai compagnucci del corso puo’ esere anche divertente. Spero anche per gli studenti a cui propongo attivita’ che danno un maggior peso alla definizione astratta, ossia dalla regola. Apro Practical English Usage di M. Swan a pag. 249 edizione del 1995: “We normally use a present tense with ‘if’ (and most other conjunctions) to referer to the future I’LL PHONE YOU IF I HAVE TIME (not …
if I will have time). But we use IF…WILL when we are talking about later results rather than conditions (when IF means ‘if it is true that’). Compare: I’LL GIVE YOU 100 $ IF YOU STOP SMOKING (Stopping smoking is a condition of getting the money – it must happen first.) I’LL GIVE YOU 100$ IF IT’LL HELP YOU TO GO ON HOLIDAY. (The help is a result – it follows the gift of money).” Proporrei questa regola ad una classe, magari a forma di esercizio di riempimento, togliendo una decina di parole. Poi li farei confrontare a coppie. Poi una volta risolto l’esercizio li metterei da soli e gli direi di produrre 5 frasi con il tempo presente e 5 con il tempo futuro. Poi a coppie o in piccoli gruppi gli direi di fare un confronto sulle frasi che hanno scritto, stando bene attenti a verificare se rispettano la regola. Poi aprirei lo spazio per le domande all’insegnante, ecc. ecc. Nella prassi non mi pare un’attivita’ tanto differente da una induttiva, solo che in questo caso ha avuto maggior peso la definizione astratta. Gli studenti hanno avuto la possibilita’ di confrontarsi con un testo preso da un compendio di grammatica, e siccome sono studenti di lingua, non mi pare tempo buttato perche’ con questi testi avranno a che fare ogni qualvolta si faranno una domanda, che ovviamente deriva dal contatto con dei testi linguistici.Per quanto riguarda la praticita’ della stistinzione fra richiesta e desiderio per una frase come “Vorrei un caffe'” rimango scettico.
@ Ciro: non pensavo all’interazione fra pari (che peraltro considero indispensabile), ma che io, come alunna, voglio imparare le regole con attività dinamiche, diverse da una semplice lettura e se possibile divertenti.
Forse perché per me una regola di grammatica non è per niente astratta. Come l’esempio del condizionale che fai nel testo, non mi pare una sottigliezza distinguere una richiesta da un desiderio, anzi mi pare molto pratico.
@ Dal Brasile. Anche a me gli esercizi di scoperta piacciono anche a me molto. Con la seconda parte del tuo commento metti l’accento su un aspetto fondamentale dell’apprendimento in classe e cioe’ l’interazione con i pari. Ma questo si puo’ ottenere non solo grazie alla grammatica induttiva. Si puo’ fare anche leggendo un testo altamente astratto come una regola di grammatica, cercando di seguirne le indicazioni.
@ Ciro: interessante l’esempio del tedesco perché lo sto studiando anch’io, ho finito il primo semestre a novembre, avevamo un libro che proponeva la grammatica in maniera induttiva (Dimensionen) e gli esercizi di scoperta mi piacevano molto.
Io, lo dico da allieva pigra, penso che se devo andare a leggermi da sola le regole (o ascoltarle dal professore) il corso non mi serve a niente! Se in classe devo fare lo stesso che posso fare da sola a casa non ho nessuna motivazione per andare a lezione.
@ Dal Brasile. Grazie per il tuo commento con il quale mi trovo in linea. Circa il tipo di studente che si ha di fronte (molto-ricercatore, medio-ricercatore, poco-ricercatore), bisogna valutare caso per caso. E tuttavia non credo si annichili l’attitudine alla ricerca del giovine entrando in classe e dicendo: “Leggete la regola a pag. 55 (magari in un compendio nella madrelingua degli studenti), discutela fra di voi e poi fate gli esercizi.”. Come ho già detto, nessun chirurgo proverebbe a tagliare senza seguire rididamente quello che è scritto sui manuali: si fida di coloro che sono venuti prima e prima di lui hanno sbagliato.
@ Francis: credo che tu abbia fatto un cattivo uso del virgolettato, e a leggere il tuo commento esce fuori qualcosa che ne’ io ne’, mi pare, gli altri commentatori volevamo dire. Detto questo, al tuo invito di darti degli argomenti migliori, potrei provarci e sicuramente questo mi aiuterebbe a migliorare le mie idee, pero’ cio’ sarebbe possibile solo se tu facessi delle critiche nel merito di quello che e’ stato scritto. Infine, la parte di ciccia del tuo commento mi pare stia nell’ultima frase “O gliela dai o se la sudano.”. Capisco quindi che proponi una visione piuttosto rigida. Ti chiederei allora come faresti a convincere uno studente come me mentre studia tedesco a non andare a vedere la grammatica per capire come diavolo mai una volta si dice DEM una volta si dice DER un’altra volta si dice DEN e poi l’aggettivo delle volte finisce in un modo delle altre volte finisce in un altro. E a proporgli una bella esplorazione per testi con lo scopo di ricreare un paradigma delle flessioni dell’articolo e dell’aggettivo proprio uguale a quello che è già stampato a pag. 18 della grammatica. Detto in parole povere, il miglior frutto della grammatica induttiva consiste secondo me nello sviluppare la capacita’ di osservazione e di formualzione di domande di tipo linguistico e nel cercare di sviluppare la capacità di fare ipotesi di prima istanza, che tuttavia devono venire messe alla prova non ricorrendo ad una verifica empirica ma all’indice di uno snello e ben organizzato compendio di grammatica: un processo a due vie, dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto (top-down/bottom up come direbbero quei cognitivisti che hanno preso grande ispirazione dalla frequentazione dei locali di burlesque). E non solo bottom-up come credo faccia tu in classe, perché altrimenti rimane la sensazione che c’era altro da vedere.
Grazie per esserti fermato a commentre. 🙂
Caro Francis, al contrario di quanto dici credo che un docente con le parole e le definizioni ci debba proprio “giocare”, senza cadere negli “idola fori” :), ma anche con l’ironico disincanto di chi sa che in classe talvolta le definizioni vengono “sacrificate” in nome delle situazioni che a volte si creano. Quindi ammetto, udite udite, “di averla data e di averla fatta sudare allo stesso tempo” (dopo il riferimento al Burlesque, questa frase ha un certo peso…). Intendevo dire che mi è capitato più di una volta che ad ipotizzare la regola gli studenti non riuscissero…il tempo passava, il programma incombeva…e PATATRAC …è successo, ho fatto una bella spiegazione frontale alla lavagna!! Ma non sono partito con quella, prima ci avevo provato, lavorando con un bell’input quasi autentico (da qui il loro sudore). Con questo ammetto i miei limiti di docente, ma concludere che per questo si è anti-induttivi o revisionisti-induttivi, manipolando qualche citazione, mi pare capzioso. Suvvia, Francis…tu non l’hai data mai, la regola?? Ammettilo, dai…
Quanti (insomma) sospiri di sollievo! Finalmente si può dire che l’approccio induttivo (che sarebbe quella cosa che serve a far crescere la capacità di osservare e analizzare una lingua, tutto qui) è una “moda”, uno “slogan”, un’invenzione di “scienziati” bimodali e direzionali. Ma ora basta esagerare, “si è sorpassato il segno”, torniamo a dare ascolto agli “studentelli che bramano regole frontali”, torniamo a fare un po’ del vecchio e sano “tutto”, anzi a dare principalmente “lettura delle regole”. Perché “per scoprirle ci vuole troppo tempo” o ci vogliono studenti esperti di logica formale. Mah. Io questi discorsi li sentivo trent’anni fa. Bisogna concludere che i “maestri induttivisti” hanno lavorato proprio male se del loro lavoro vagano ancora per il mondo queste caricature. Coraggio, anti-induttivisti o induttivisti-revisionisti, dateci argomenti un po’ più interessanti! E non giocate con le parole: “diamogli la regola, ma se la devono sudare”. O gliela dai o se la sudano.
A me pare che, purtroppo, ci siano molti equivoci riguardo alla grammatica induttiva:
– adottarla non significa eliminare la sistematizzazione e eventuali approndimenti delle regole alla fine dei lavori. Sembra ovvio, ma ho visto e vedo molta gente che pensa che una cosa deva escludere l’altra.
– lo scopo dei ragionamenti che si richiedono agli alunni non è trovare una risposta giusta! Lo scopo è semplicemente farli ragionare con e sulla nuova lingua!
Insegnare a imparare non è facile e certo i manuali non aiutano molto, finora l’unico che mi è sembrato coerente è stato “Universitalia” (ma non ho ancora usato “Domani”), ma, non so, se vuoi uno studente “autonomo e ricercatore” come fai a dirgli a un certo punto “no, adesso non provarci neanche che non ci arriverai…”?
@ Sara: grazie per aver lasciato la tua opinione. Noi de Il due Blog ci sentiamo baldi come un tacchino a giugno per averti rincuorato. In fondo un blog serve a non sentirsi isolati. Periculo sempre in agguato per gli insegnanti. Fàtte véde a Roma, oppure invitaci dalle tue parti. Sarà nostro piacere grandissimo conoscerti di persona.
@ Sampei: controfirmo al 100% le tue osservazioni. Mi piace anche molto il tono del tuo commento: si potrebbe inventare un’attivita’ didattica in cui la regola si scopre cosi’ http://www.youtube.com/watch?v=WDHG6BoPdyY un pezzetto alla volta, sotto ogni indumento un pezzettino di regola. Pero’ anche loro qualcosa devono fare, perche’ e’ giusto che la regola se la debbano sudare un pochettino. 😉
Complimenti per il bell’articolo! E’ bello provare a parlare di certi argomenti senza peli sulla lingua e con l’occhio rivolto a chi insegna.
Che il metodo induttivo sia diventato uno slogan da usare anche a sproposito, mi sembra evidente; c’è però da dire che fino a quando qualche scienziato non darà prova del contrario (possibilmente non con i soliti ed inutili paper che dicono tutto e niente), saremo tutti costretti a rimanere aggrappati ai vecchi discorsi sulla bimodalità e direzionalità, che ancora legittimano tale metodo.
Il fatto è che per scoprire induttivamente una regola ci vuole tempo, spesso troppo tempo…alcune, come diceva Ciro, sono particolarmente ostiche. Questo tempo chi ce l’ha? Sicuramente non il docente, ma neanche l’autore di manuali. Che veramente crediamo che da un brano di 7 righe e da una griglia da completare riusciamo ad ottenere un processo induttivo?? Spesso la quantità di input deve essere moooolto maggiore per ottenere una spontanea formulazione di ipotesi sul funzionamento di certi meccanismi. In mancanza di ciò gli autori a volte forzano la mano e “pilotano” ipotesi preconfezionate per gli studenti. Gli insegnanti, invece, rischiano di perdersi tra il lasciar scoprire, svelare un pochino, a volte coprire…più che di grammatica, sembra di parlare di Burlesque 🙂 Bisogna necessariamente fare un po’ di tutto, secondo le modalità che ci suggeriscono i nostri cari studentelli…se bramano regole frontali, che regole siano! Però se le devono sempre sudare attraverso qualche attività, non gli metto nulla sul piatto d’argento fin dall’inizio.
Un saluto a tutti!
ciao a tutti
perfettamente d’accordo con ciro e anzi rincuorata dall’idea che se a lezione ogni tanto butto lì pure la regola non sono fuori contratto !!
mi interessa capire qualcosa dell’appr. globale. Chi mi spiega ??
Ah! se riesco a roma ci sarò anch’io, così finalmente vi vedo (visto che vi leggo sempre anche se non partecipo molto..)
Grazie Giovanna e Moryama per essere passate e aver commentato.
Sono contento che anche voi sottolineiate l’importanza del fattore umano. 🙂
L’approccio globale per me e’ una novita’. Andro’ al convegno dell’Alma Organizzato al Maxxi. https://www.facebook.com/events/225571047535386/ Se sei a Roma passa pure tu, cosi’ finalmente ci conosciamo.
Boh Ciro, non so. Mi sembra solo che, come succede spesso, si è preso un principio valido e se n’è fatto dogma, applicandolo con meno moderazione e senso critico del necessario. Da qui, la serie di corsi e manuali con l’etichetta metodo induttivo, ma anche l’applicazione del metodo ad ogni fenomeno linguistico (ri-trasformando lo studio della lingua in qualcosa di meccanico. Bizzarro no?). A me pare che la grammatica sia fatta di tanti aspetti diversi e perciò gli approcci possono essere diversi.
Ora però stiamo in guardia… dall’induttivo-comunicativo-e compagnia ci stiamo muovendo verso l’ultima rivelazione del millennio: l’approccio globale. Speriamo di non finire tutti in un minestrone.
Condivido queste riflessioni che tante volte ho fatto tra me e me. Oggi ci troviamo davanti ad un numero consistente di manuali ma sono dell’idea che il docente sia determinante nel processo di insegnamento-apprendimento per mettere in moto dei meccanismi che un manuale riuscirà ad attivare solo in parte ed in modo molto limitato. Del resto il manuale è uno strumento e sta a noi docenti saperlo usare così come sta a noi decidere il confine tra grammatica induttiva e deduttiva, dove si può arrivare con una e dove continuare con l’altra e tutto questo è qualcosa che si impara solo con l’esperienza.
Siamo ansiosi di conoscere la vostra opinione in merito