Il Bollettino ITALS uscito a novembre contiene un articolo, dalla cui lettura non si può prescindere. Nel numero 66 -incentrato sugli atti della seconda edizione del convegno PostMaster ITALS, dal titolo “DIRE. FARE. INSEGNARE” (Venezia, 29 – 31 agosto 2016)- è presente l’intervento di Dorella Giardini, collega e amica, che è riuscita a descrivere, in modo dettagliato e puntiglioso, gli ultimi anni della lotta per il riconoscimento della nostra figura professionale, soffermandosi sugli eventi più significativi che spesso hanno visto come protagonista il coordinamento Riconoscimento Nazionale.
Il titolo della presentazione di Dorella, poi diventato un saggio è: Una lingua seconda per l’italiano: quali scenari per la disciplina e la professione.
L’articolo, partendo dalla CDCA23, porta avanti un’analisi incentrata sul vuoto normativo che ha sempre accompagnato la nostra categoria professionale. Salta agli occhi, ancora una volta, l’incongruenza tra il bando per la CDC e quelli delle università che ancora oggi reclutano professionisti per l’insegnamento dell’italiano a stranieri. Quindi, se da una parte si richiedono cfu non previsti nemmeno nei più recenti corsi di laurea di italiano per stranieri, dall’altra si continua a richiedere dei titoli di specializzazione ed esperienza che per entrare nella scuola pubblica contano solamente in minima parte:
Da una parte, dunque, nell’epoca del vuoto normativo il MIUR ha incoraggiato e tuttora incoraggia indirettamente l’impiego di professionalità esterne in L2/LS – e la Legge 107/2015 lo conferma sin dal primo articolo, decretando come definitiva l’autonomia degli istituti –, dall’altra queste competenze le ha misconosciute a lungo, fino ad arrivare a negarle, come vedremo, proprio con la definizione dei requisiti di accesso alla classe di concorso A23.
L’articolo prosegue con un excursus sulla situazione degli insegnanti delle rispettive L2 in Germania, in Francia e nel Regno Unito.
La parte centrale vede l’analisi dei requisiti della A23 ed una buona parte di questa è occupata dai tentativi di Riconoscimento di sollecitare una partecipazione massiva di colleghi attraverso la rete (per creare dei requisitivi che fossero rappresentativi della categoria e poi un questionario che ha raccolto circa 800 partecipanti per mappare la figura professionale).
Vi rimandiamo alla lettura dell’articolo per leggere le conclusioni dell’indagine.
Il saggio si conclude con l’intervista all’Avv. Leone che ha rappresentato un nutrito gruppo di colleghi che hanno presentato ricorso in occasione del Concorso 2016. L’avvocato spiega le motivazioni alla base del ricorso, delineando alcuni scenari interessanti per la A23, la cui unica speranza è, tuttora, legata alla decisione del Consiglio di Stato.
La lettura di questo articolo è vivamente consigliata sia alla vecchia guardia -che lavora nel settore da anni- che alle nuove leve, che dovrebbero prendere coscienza delle insidie del mestiere e forse proseguire una lotta che ci ha sfiancati nonché (dis)illusi.
La creazione della classe di concorso, secondo i nostri auspici, avrebbe dovuto potuto avere una ricaduta positiva su molti altri contesti lavorativi, ma questo temiamo non potrà più verificarsi, poiché è la stessa A23 ad essere messa in discussione (delle 506 cattedre messe a concorso solo 22 sono diventate effettive, pur rimanendo nell’ambito del potenziamento).
L’articolo non nasce con l’intenzione di soffermarsi sull’italiano LS, un terreno minato, pieno di zone d’ombra che andrebbero evidenziate. Molti di questi colleghi, infatti, lavorano per istituzioni italiane ed enti affini, in cui però le condizioni contrattuali non sono per niente vantaggiose. Speriamo quindi di vedere presto un articolo così esaustivo che copra anche questo settore. Chissà se Dorella ci sta già lavorando?