Ogni anno, all’inizio dell’anno scolastico, mio padre la sera a tavola mi chiedeva: “Che hai imparato oggi a scuola?”. La scuola per me e’ sempre stata un luogo deprimente, da studente ma soprattutto da insegnante. La risposta era regolarmente: “Niente!” o anche “Le solite cazzate!”. Il pover’uomo la prendeva a ridere, ma credo che dentro gli sia dispiaciuto: uno ha un figlio, lavora e fa sacrifici per farlo crescere; per dargli delle possibilità lo manda a scuola e si sente dire che non ha imparato nulla o che ha appreso cose inutili e false. Infatti gia’ prima dell’inizio di ottobre smetteva di chiedere.
Come insegnanti, cosa secondo voi dovrebbe rispondere uno studente tornato a casa dopo la vostra lezione alla domanda Cosa hai imparato oggi a lezione di italiano? Dovrebbe saper indicare qualcosa di preciso (una regola grammaticale, un vocabolo, una regola fonologica, prosodica, ecc.), oppure non importa che sappia sempre indicare chiaramente qualcosa? Nel primo caso rispondete Sì al sondaggio, nel secondo caso rispondete No. Se avete altre risposte lasciatele pure come commento. Leggete il resto dell’articolo per partecipare al sondaggio.
Tralasciando i bambini, i quali hanno un diverso modo di percepire ciò che hanno appreso e una diversa consapevolezza, per tutti gli altri credo che dovrebbero poter dire cosa hanno o non hanno imparato anche quando non si tratta di cose non tangibili, misurabili o riconoscibili per il semplice fatto che secondo me bisogna acquisire anche la capacità di saper descrivere cose che non sono esattamente misurabili. Ciò non può che aumentare la consapevolezza del lavoro svolto e delle proprie conoscenze e competenze. E’ sottinteso che per sviluppare questa consapevolezza è importante il ruolo dell’insegnante che dovrà stimolare questa riflessione attraverso opportuni modi e strumenti.
Questo articolo mi fa ritornare in mente una battuta di Philippe Daverio, che ho trovato nella sua bio su Wikipedia: “Sono arrivato in Italia nel ’68 per frequentare la Bocconi, e come tutti in quegli anni non mi sono affatto laureato anche perché, in quegli anni, alla Bocconi non ci si andava per laurearsi, ma per studiare.”. Sono personalmente convinto che se a scuola ci si andasse per studiare e non per prendere i crediti universitari ogni studente saprebbe dire a fine lezione quello che ha imparato, anche se l’insegnante non dichiarasse cosa vuole che lo studente impari, al limite anche se l’insegnante non sapesse cosa vuole che lo studente impari.
Forse i bambini non devono e non possono sapere di aver imparato qualcosa di nuovo, ma devono poter riconoscere nell’insegnante quella persona che li aiuta a decodificare la realtà che li circonda. Gli adulti secondo me devono poter quantificare e definire cosa stanno studiando; uno studente che esce dalla lezione, magari serale, dopo una giornata di lavoro estenuante, deve poter dire “ho imparato” questo o quello, è la ricompensa del suo sforzo…sta a noi assicurarsi che l’abbia acquisito e non solo appreso, e magari prima o poi anche lo studente smetterà di voler “imparare” e si rallegrerà delle sue personalissime scoperte.
Self assessment e simili esistono anche in Italia, nelle scuole certificate Eaquals teoricamemente sono “obbligatori”. Concordo con ladylink: non è così immediato incorporarli nelle lezioni, ma credo che se si esce dalla rigidità di certi schemi (dallo scrivere i punti della lezione alla lavagna in avanti…) sono strumenti utili per aiutare lo studente a diventare autonomo. Con gli adulti trovo utile riflettere sulle attività che facciamo, cerco di essere il più trasparente possibile, non sono mai momenti formali o lunghi, un giro di commenti, due parole chiave (davvero due, non spiegazioni di tre ore) perchè si rendano conto di cosa sta succedendo e possano eventualmente proseguire da soli.
Sono ladylink e insegno negli Stati Uniti. A differenza di molti dei commentatori che avevano in mente uno studente della scuola dell’obbligo, io ho in mente i miei studenti attuali che studiano italiano all’università. Cmq non ricordo se i miei mi chiedessero cosa avessi fatto a scuola, penso che avrei risposto che avevo fatto tante belle cose.
Ho risposto “sì”, perché in questo momento ho bisogno di certezze, ma non ne sono convinta del tutto.
Infatti sono dovuta tornare sull’articolo varie volte prima di decidermi a cliccare.
Quest’estate negli Stati Uniti ho seguito un corso di didattica dell’italiano e quello che l’insegnante continuava a dirci era che avremmo dovuto trovare anche il tempo per fare questa fatidica domanda agli studenti… il self-assessment che negli US va molto forte. Sinceramente non ho mai mai mai trovato il tempo per farlo, come non ho mai mai fatto alla lavagna una lista di quello che faremo a lezione, che comunque anche se non fatta alla lavagna ce l’ho nei post-it, sul quaderno, da qualche parte, ma alla lavagna ancora non ce la faccio (però nn vorrei soffermarmi su questo).
Insegnare negli US è come atterrare sulla luna, sai camminare, ma devi imparare a farlo senza gravità. Personalmente sono un po’ in crisi come insegnante. Fondamentalmente mi ritrovo nella spiegazione del primo NO di porfido, ma nel mio ambiente tutto deve essere misurabile. Cerco di mettere sempre a loro agio o di tranquillizzare gli studenti, accettando qualsiasi cosa mi sappiano dare in cambio come testimonianza di partecipazione, di aver capito, di essersi impegnati. Elargisco sorrisi, gesticolo, comunico con gli occhi, mi metto molto in gioco, cerco di creare un’atmosfera gradevole in cui lo studio dell’italiano e sforzarsi per studiare non risulti noioso e pesante.
Sono anche d’accordo con Alesales, che propone di cambiare domanda. Nel mio caso sicuramente avrebbero qualcosa da scrivere. Nel caso della domanda originale, ho i miei dubbi… perché sono sempre insicuri, sanno benissimo cosa aspettarsi nel test, ma te lo chiedono, ti chiedono il tipo di esercizio nonostante sappiano cosa aspettarsi da me.
Oggi hanno fatto le presentazioni orali quattro studenti (che poi non so più se in italiano si chiamino così). Sono stati così bravi, si sono preparati bene, ci siamo divertiti, ero quasi più ladylink che la loro prof… Oggi penso che avrebbero fatto una lunghissima lista di cose che hanno imparato sui loro compagni, sull’Italia, sugli Us ecc ecc
Scusate la lunghezza.
ladylink
Non chiedo mai ai miei figli cosa hanno imparato a scuola, piuttosto come si sono comportati, se sono stati attenti…mentre parlano cerco di capire se la mattinata è passata in modo sereno. So già che sicuramente avranno imparato qualcosa, che ne siano consapevoli o meno.
Secondo me uno studente dovrebbe sapere in cuor suo se e cosa ha imparato da ogni lezione, o giornata scolastica. Diverso è chiedersi se lo debba confidare a qualcuno oppure no. Per esempio, quando andavo a scuola, un giorno l’insegnante mi diede del “pezzo di imbecille”, solamente perché sono sempre stato brillante ed estroverso, e anche in quell’occasione feci una battuta, il cui risultato fu una sonora risata di tutta la classe. Dopo qualche giorno, la stessa insegnante ebbe ad affermare che lei non offendeva mai. Io imparai che “pezzo d’imbecille” dovesse essere un complimento.
secondo me lo studente dovrebbe saper rispondere..perchè saper rispondere significa aver preso coscienza delle proprie competenze …o essere cosciente di non aver raggiunto bene una certa competenza ..forse lo aiuterebbe a riflettere e a impegnarsi di più ..imparare significa appunto rendersi condo di avere delle capacità e di saperle impiegare …anche il significato stesso della parola induce a riflettere ..so fare o non so fare : è l’autovalutazione ..io trovo che anzi ni docenti dovremmo puntare molto su questo aspetto…e aiutare a capire dove c’è ancora da imparare …magari ricollegandomi a ciò che è stato detto Alesales, sarebbe meglio chiedere :che cosa avete fatto oggi a scuola e tu che cosa hai imparato ? ….
La prima parte di questo post mi ha messo tanta malinconia. Ho sempre amato la scuola, la maestra, i prof delle medie e del liceo (non tutti, ahimè). Se mi capiterà di avere un figlio, gli chiederò con grande entusiasmo, forse tutti i giorni, di parlarmi delle sue giornate a scuola.
Ma non rispondo al sondaggio, piuttosto mi piacerebbe che i miei studenti, una volta a casa, raccontassero non quello che hanno imparato da me, ma quello che hanno fatto con me. Secondo me la domanda giusta è: “che cosa hai fatto oggi a italiano?”
Io ho votato “no”.
Non perché pensi che non “debba” saperlo ma perché credo che se noi, insegnanti, ragioniamo in questi termini, ci ritroveremmo a pensare ad una didattica che insegni cose tangibili, misurabili, scrivibili, riconoscibili. E invece io penso che ci siano almeno due controindicazioni:
1. in alcuni casi si può dire (ci sono giorni in cui lo studente può dire “oggi ho imparato che prima del participio devo mettere essere o avere se voglio dire un verbo al passato”) ma nella stragrande maggioranza dei casi si insegna a migliorare delle competenze e mi pare impossibile che dopo un ascolto lo studente possa dire “ho imparato ad ascoltare gli italiani che parlano un po’ più di ieri”.
2. facendo così illuderemmo lo studente. Non è vero che ha “imparato” qualcosa. Al massimo la ha studiata, l’ha approfondita, ne ha analizzato un aspetto. La lingua non è fatta di atomi che si imparano ad ogni lezione.
Insomma, credo che una riflessione su quello che si è studiato sia giusta, ma non nei termini di “imparare”.
Molto interessante!