Le parole inglesi nell’italiano


Sì, lo so, il video usa le parole francesi, non quelle inglesi, ma era così carino che non ho resistito. E poi il tema è quello… proprio quello. Quante parole straniere usiamo per parlare in italiano. Premetto che non ho nessuno spirito moralista nello scrivere questo post, perché non mi appassiona alcuna polemica di nazionalismo linguistico. Anzi, a dirla tutta mi fa più impressione, quando vado a Madrid, sentir usare Raton al posto di Mouse

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Car@ amic@ vicin@ e lontan@

Carlo, ma perché devo dire che io e Marcus “siamo andati, con la lettera i? La lettera i è maschile, e io non sono un maschio! Perché la vostra lingua deve essere macha. Anche tu, quando parli qui in classe, usi sempre il maschile, ma qui siamo otto femmine e un solo maschio, sempre il povero Marcus!

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Usa la punteggiatura: salva tua nonna!

Non so perché, ma quando si parla di punteggiatura c’è spesso di mezzo una nonna o una signora anziana.

Forse perché l’interpunzione l’abbiamo studiata alle elementari, quando avevamo una maestra anziana (c’è da dire che allora tutte le donne sopra i 20 ci risultavano anziane) e ogni volta che ci chiediamo se e dove vada una virgola o (peggio!) un punto e virgola, una magia proustiana ci riporta indietro di alcuni decenni.

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Le parole (e le loro alterazioni) sono importanti!

Fatemi fare anche a me ogni tanto un post moralista!

E partiamo da qui: forcone è la parola del momento.
Secondo il dizionario etimologico on line è un accrescitivo (ormai lessicalizzato) di forca: “Strumento formato da un ramo d’albero rimondo, lungo circa un metro e mezzo, che in cima si divide in due o tre rami minori tagliati, i quali appuntati e curvati leggermente da una parte si dicono rebbi; e viene adoperato per ammucchiare paglia, fieno o simili”.

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Eh?

Per gli scienziati “Eh?” è la prima parola universale! L’unica condivisa da tutte le lingue.

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La scuola 2.0 per Luca Serianni

Luca Serianni è forse il più grande linguista italiano degli ultimi anni. Il suo occhio è sempre attento e le sue parole sempre da tenere in considerazione. Non mi convince quando si fa didatta, ma per il resto questo articolo è imperdibile, soprattutto per i fulminati dei “nativi digitali” e dell’era della “scuola 2.0”.

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L’Antiburocratese

Stavo per scrivere un commento, poi ho pensato che questa scoperta meritasse un post tutto suo.
Si tratta di un dizionario on line (curato da Massimo Arcangeli, (responsabile scientifico del progetto PLIDA per la società Dante Alighieri) chiamato L’Antiburocratese.
Si dice nell’introduzione:

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La linguaccia

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Non sempre la lingua è bella. A volte, spesso è brutta. Altre volte, come nell’immagine che accompagna questo articolo, diventa un’inconsapevole linguaccia che si prende gioco dei significati e cambia umore, il tutto per eccesso di zelo istituzionale da parte di chi la tira fuori.

Più grave è quando la linguaccia viene messa in faccia a chi non può capirla proprio affinché non venga capita, proprio per far sì che la comprensione sia vanificata da una forma arzigogolata e involuta. È questa una lingua che crea disparità sociale, che chiude porte e tiene fuori, che è lo specchio della cultura di un Paese che ambisce a definire spazi di potere in luogo dell’inclusione.

Un decennio fa si discuteva molto dell’abbandono del burocratese che oggi, a quanto pare, sta tornando in grande spolvero, come ci racconta un articolo segnalato da Piroclastico.

“All’uopo” e “obliterare”: il ritorno del burocratese

Uffici pubblici: la lingua chiara non è più un obbligo. La norma era stata introdotta 12 anni fa: i cittadini dovevano capire senza essere costretti a decifrare Era prevista la nascita di una task force di esperti con un numero di telefono “sos lingua”. Ma tutta l’operazione è stata soltanto una sconfitta…

[continua a leggere l’articolo su repubblica.it]

 

 

scannare è roba da mecchisti?

 

Partiamo dall’oggetto in questione: il lettore ottico capace di riconoscere immagini e testi dattiloscritti o stampati, più comunemente chiamato scanner. La prima volta che il vocabolo inglese entrò nell’italiano scritto fu nel 1965 come “strumento elettronico in grado di esplorare aree specifiche del corpo umano o zone particolari di un materiale, con applicazioni diverse in varie discipline scientifiche”.

Il processo di leggere il documento tramite scanner (dall’inglese to scan=esaminare), invece, risalì al 1979 in testi specialistici definendo “l’acquisizione di immagine o testo tramite scanner”. Da questo momento in poi l’italiano ha scatenato la fantasia più astratta e sfiorato l’abominio grammaticale adattando alla base lessicale inglese suffissi verbali regolari. Si passò nel 1994 al poco usato “scannerare” al più consueto “scannerizzare” un anno dopo.

Nel 1998 si creò una diramazione alquanto controversa del suo utilizzo: dall’atroce “scannare” che, per fortuna si ode sempre più raramente in copisteria, fino ai più legittimi “scansionare” e “scansire”, quest’ultimo molto meno presente nel parlato comune. Infine, abbiamo il verbo più appropriato “scandire”, verbo che deriva dal sostantivo “scansione”, in cui l’accezione nel campo elettronico si aggiunge con naturalezza a quella originaria appartenente alla tecnologia della trasmissione televisiva, ovvero “analizzare mediante un fascio elettronico i punti in sequenza di un’immagine da trasmettere”.

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Per chi suona la campana

Un interessante articolo sul campanilismo, un aspetto della nostra cultura italica non di secondo piano. Anche la parola è interessante come ci dicono gli amici di “Language and the city”.

Il Campanilismo in Italia – può essere superato?