Dovremmo prima rispondere alla domanda “Come siamo?”, e diventerebbe evidente che siamo tanti e tutti diversi. Per questo mi ha colpito il blog di una ragazza svedese, Carin: “Svedese sposata con un italiano. Volevamo fare una squadra di calcio, ma in questo momento siamo “solo” sei in famiglia”.
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Insegnare italiano ad alunni “immigrati” a Roma
Ricevo questo contributo da Federica Bianchi, che lo aveva già pubblicato nel giornalino della scuola dove ha lavorato, l’Istituto Tecnico Commerciale Lucio Lombardo Radice di Roma. Si tratta di una riflessione sul lavoro dell’insegnante di italiano come L2 che mette in risalto sia gli aspetti positivi, sia quelli più controversi. Il titolo originale dell’articolo è “Si può fare”.
Nella nostra classe di italiano quest’anno siamo in quattro: due ragazze cinesi, una rumena, e io, l’insegnante di L2. L’anno scorso eravamo di più, considerando qualcuno che poi ha abbandonato il corso e qualcuno che si è aggiunto alla fine. Una piccola classe multilingue, un microcosmo multietnico, nel quale alunni di lingue e culture diverse si ritrovano una volta a settimana, per imparare a parlare, o a parlare meglio, la lingua italiana e per conoscere l’Italia, Roma, le nostre tradizioni, come celebriamo il Natale e cosa mangiamo la domenica, e perché in italiano “buona fortuna” si può dire anche “In bocca al lupo”. E per scoprire che spesso tutto il mondo è paese.
Così vedo l’Italia
Ogni anno, dal 1955, la Onlus Intercultura organizza programmi di studio di lunga durata per 1.800 studenti italiani delle scuole superiori in più di 60 Paesi nei 5 continenti. Parallelamente, 800 adolescenti da tutto il mondo arrivano in Italia, accolti da una famiglia come dei veri e propri figli.
“Così vedo l’Italia” è un progetto che i volontari di Intercultura portano avanti da 13 anni, invitando i ragazzi stranieri a partecipare a un concorso inviando le loro migliori fotografie in cui, a loro avviso, pensano di aver colto i diversi aspetti dell’identità italiana e di commentarle con una didascalia.
25 APRILE: PERCHÉ INSEGNARE L’ITALIANO AGLI STRANIERI?
Di solito su questo blog il 25 aprile, anniversario della Liberazione, scriviamo un post che ricorda la Resistenza italiana. Quest’anno, io almeno, non me la sento di scrivere nulla.
Ci piacciamo o ci disprezziamo?
Sempre piu’ spesso qui in Italia leggiamo di articoli o altro sui mezzi di comunicazione di massa tedeschi in cui gli italiani sono derisi o disprezzati.
Siccome pare (cosi’ dicono) che il futuro della Germania e dell’Italia, fra gli altri, sia quello dell’Europa unita e federale, propongo questo sondaggio:
a) Gli italiani disprezzano i tedeschi?
b) I tedeschi disprezzano gli italiani?
Potete rispondere commentando, anche anonimamente se vi va.
Lo stereotipo è servito (a lezione di conversazione)
Questo post era nato qualche giorno fa come commento al post “Esami finali: progetto finale alternativo o solito saggio scritto?“. Su suggerimento di porfido l’ho ampliato e commentato e ne ho fatto un post. L’ho diviso in due parti: la prima è per chi di voi ha a disposizione molte ore di corso, la seconda è per chi, come me, deve correre.
L’idea di adattare, per una lezione di conversazione (o di lingua), un racconto che ho fatto leggere in un corso di letteratura, nasce da Nicla (che lavora a Friburgo, in Germania), che su Italiano per stranieri (Facebook), ci aveva chiesto spunti su come introdurre a lezione con il suo gruppo di conversazione di studenti B2, il video in cui Igiaba Scego leggeva un brano estratto dal racconto Salsicce: “mi sento somala o italiana quando”. Quanto riportato sotto è stato adattato per il post dal commento. Ho aggiunto dei link che possono servire da esempio per gli spunti da portare in classe o per come prepararsi prima di andare in classe e trattare un argomento così delicato.
Esami finali: progetto finale alternativo o solito saggio scritto? (aggiornato)
Sottotitolo: Ogni sgarrafone è bello a professoressa soja (1)
Traduzione: Riflessioni concitate sul semestre appena finito in mille parole circa (esclusa biblio-sitografia)
È così (1) che commento la fine tanto auspicata, ma alla fine anche un po’ malinconica, del semestre. Come ogni semestre anche questo si è contraddistinto per gli esami finali scritti, quelli orali, le presentazioni orali, tentativi in zona Cesarini (miei e loro) di recuperare l’irrecuperabile, composizioni che fioccano inaspettate, ripasso inviato alla prof al novantesimo minuto, ansie, nervosismo da parte degli studenti, ma anche sorrisi, anzi risatone e finito l’esame abbracci e baci, a cui seguiranno sottolineature e molti sospiri (solo miei stavolta), correzioni, voti, calcoli da far venire il mal di testa, conti che non tornano, un voto tolto lì e rimesso qui, insomma la solita manfrina a cui non ci si rassegna mai.
Ma questo semestre è speciale. È la fine del 232, del quarto semestre di lingua, che è il requisito di molti corsi di laurea. Alcuni continuano a studiare italiano e li rivedrò ancora, altri si comporteranno come le sonde Voyager.
Saluto i miei studenti dopo due semestri intensi di lavoro insieme, alcuni ce li ho avuti per la terza volta consecutiva (<<dei sopravvissuti>> gli ho detto, dandogli una pacca sulla spalla!). Questi studenti quando li ho salutati mi hanno detto tante cose belle, che gli studenti americani sanno dire, ma i miei in particolar modo e comunque erano sinceri, perché sono i miei studenti e anche a me mancheranno.
Per chi suona la campana
Un interessante articolo sul campanilismo, un aspetto della nostra cultura italica non di secondo piano. Anche la parola è interessante come ci dicono gli amici di “Language and the city”.
Il Campanilismo in Italia – può essere superato?
Giornata per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza
Una storia semplice
Prendo indegnamente in prestito il titolo di un bellissimo racconto breve di Sciascia per proporvi un esercizio di riempimento da primo livello che parla di criminalita’ organizzata.