“Ildue chiacchiere con”… Elisabetta

Ilduechiacchiere con di questo post è stato possibile grazie alla disponibilit di Elisabetta, una dei tre colleghi italiani che condividono con me l’onere di italian instructors qui ad Izmir, nella mia stessa universit .

L’ufficio mio e di Elisabetta sono uno accanto all’altro e questo ci permette di passare sempre qualche minuto insieme nei tempi morti tra una lezione o una riunione e l’altra.

Anche lei è fresca di Master in Didattica dell’italiano a stranieri e come me ha deciso di sfidare la sorte ed atterrare ad Izmir. L’Elisabetta che conosciamo ed apprezziamo tutti è una persona piena di energia e di idee, che non perde mai l’occasione di parlarci del Sud America e soprattutto del Messico e di Monterrey, dove ha vissuto per quasi due anni. Vista quindi l’attenzione de ildueblog verso il Sud America e la preziosit della testimonianza di Elisabetta, ho pensato di fare due chiacchiere con lei. La conversazione si è dilungata a tal punto che ho dovuto dividere il nostro scambio in due post.

Ecco a voi la prima parte.

LL: Allora Elisabetta dove hai iniziato a lavorare e quando?

E: Ho iniziato a insegnare, come volontaria, nel 2003 in Uruguay. Ero gi laureata (alla Ca Foscari di Venezia n.d.r.) ed avevo portato a termine un corso di formazione chiamato Corso Base Itals, di un anno, a cadenza settimanale, tenuto dagli stessi professori del Master. Lì ho iniziato a capire che cosa significasse insegnare la mia madrelingua a stranieri. Il corso aveva affrontato anche il mondo dell’immigrazione, ma i miei interessi erano soprattutto l’insegnamento dell’italiano come LS ed infatti, appena ne ho avuto l’opportunit , sono andata in Uruguay, a Montevideo. Qui ho seguito 3 corsi di formazione tenutisi presso la Universidad De La Rep blica e lì ho davvero capito che avrei voluto fare questo lavoro, e soprattutto che avrei voluto continuare a farlo in Sud America.

LL: Come sei arrivata in Messico?

E: Da Montevideo ho iniziato a inviare CV in tutte le istituzioni del Sud America in cui si insegnasse l’italiano e sono stata contattata dalla Dante Alighieri di Monterrey.

LL: Di che tipo di corsi ti occupavi?

E: Per la Dante Alighieri mi sono occupata di vari tipi di corsi, d’altronde la scuola cercava di assecondare tutte le richieste possibili ed immaginabili dei clienti (dal corso di scrittura al corso di letteratura contemporanea o femminile) e poiché aveva insegnanti validi e volenterosi, visto che per guadagnare bene è necessario davvero rimboccarsi le maniche.

LL: Quante ore lavoravi alla settimana?

E. Sono arrivata a lavorare anche 40 ore settimanali, rimbalzando da una parte all’altra della citt .

LL: Che tipo è l’ambiente della Dante Alighieri? Chi sono gli insegnanti che ci lavoravano? Insomma chi erano i tuoi colleghi?

E: Eravamo in molti a lavorare presso la D.A., circa una trentina e c’erano sia italiani che messicani, era un bell’ambiente.

LL: Avevi un contratto regolare?

E: No, non avevo un contratto regolare, la D.A. non faceva contratti, ma ho avuto la fortuna di andare a lavorare presso un’universit locale che mi ha messa in regola. L’universit mi ha proposto un contratto, ed è stata l’unico contratto che ho avuto.

LL: Ed i colleghi?

E: Come in ogni posto c’erano colleghi preparati e colleghi meno. C’erano colleghi interessati, che si tenevano aggiornati e che si davano da fare ed altri che aprivano il libro e si limitavano alla spiegazione della grammatica. Però devo dire che la direttrice della D.A. era preparatissima e quando il tuo superiore è una persona con esperienza e formazione, il tuo lavoro ne risente positivamente. Questo è ciò che più mi manca adesso…

LL: …Passiamo agli studenti…

E: Beh… Gli studenti erano altamente ricettivi ed altamente motivati. Erano estremamente interessati alla cultura italiana e ho potuto lavorare con loro in modo molto creativo. Anche la D.A. ci incentivava in questo senso.

LL: Un pubblico molto diverso rispetto ai nostri studenti attuali.

E: Sì, certamente un pubblico molto diverso. La motivazione degli studenti messicani ha stimolato incredibilmente il mio lavoro di insegnante. Questa direi che è la maggiore differenza tra i due contesti lavorativi.

LL: Passiamo al Master in Didattica…

E: Ho deciso che sarei tornata in Italia per proseguire la mia formazione e ho trovato interessante l’offerta del Master in Didattica dell’Italiano come L2, dell’Universit di Padova. Il Master era in presenza e durava 6 mesi. Sembrano pochi, ma in realt sono stati intensissimi, perché la frequenza era di 3 volte alla settimana, con tantissime esercitazioni e nel frattempo lavoravo perché mi dovevo continuare a spesare.

LL: Che tipo di insegnamenti, che tipo di lezioni avete seguito?

E: Quelle del Master sono state lezioni molto laboratoriali. Siamo stati bombardati di nozioni ma anche di laboratori sul cinema, sulla didattica ludica, ci sono stati laboratori anche di letteratura ed arte.

LL: Interessantissimo!

E. Sì, anche se viste le esperienze di lavoro che avevo e visto quello che sto vivendo, mi sto sempre più rendendo conto che il Master ha proposto degli insegnamenti non proprio applicabili alla mia quotidianit in classe . E d’altro canto mi sarebbe piaciuto approfondire delle tematiche come quelle dell’interazione e della gestione della classe, materie che sento di voler approfondire.

Fine prima parte.

Insegnamento dell’Italiano a Buenos Aires

Ricevo e posto la testimonianza di Dafne, collega argentina che lavora a Buenos Aires.

A Buenos Aires ci sono diversi centri, il cui numero è in aumento, nei quali si insegna la lingua ma non si considera la cultura, perché la si ritiene antieconomica.
L’Associazione Dante Alighieri di Buenos Aires sta pian piano perdendo il monopolio dell’insegnamento ed ha, come le altre istituzioni, rinunciato, ma solo in parte, alla cultura perché poco redditizia, riducendo i corsi di letteratura, storia e storia dell’arte al minimo.
Il problema più grave è che non ci sono professori formati presso l’unico Istituto di Formazione Docente in cui si insegna italiano a Buenos Aires. Gli insegnanti sono ex-allievi della Dante che si improvvisano professori dopo quattro anni di studi, non professionalizzanti, quindi senza una effettiva conoscenza della lingua italiana, poiché hanno ridottissime nozioni di grammatica, di cui non sono neppure consci, per non parlare della totale mancanza di consapevolezza riguardo alla cultura italiana e tanto meno della letteratura.
Ogni tanto arriva un giovane neolaureato italiano che vuole farsi la sua bella esperienza all’estero, ma senza una formazione specifica sull’insegnamento dell’italiano come LS e senza conoscere i problemi relativi all’analisi contrastiva, indispensabili per affrontare l’insegnamento dell’italiano a ispanofoni. Comunque basta che arrivi un madrelingua sia pure cameriere o casalinga, perché venga immediatamente assunto.
Quanto viene pagato un insegnante? Dai 6,50 ai 10 pesos l’ora. Un biglietto di andata in autobus costa 0,80 pesos, un caffè ne costa 2. Ci vogliono 4,03 pesos per comprare un euro, ma l’importante è cosa si fa qui con 10 pesos…
La Dante Alighieri periferiche inventano iscritti per ottenere la sovvenzione dello Stato Italiano e della Dante di Roma. Mancano le ispezioni!
Credo che vada difeso il salario e il prestigio di chi si è occupato di formarsi, in ogni angolo del mondo.
Per quanto riguarda gli insegnanti MAE, purtroppo sono avvocati, commercialisti abilitati all’insegnamento dalle vecchie leggi italiane. Non hanno idea di cosa significhi insegnare. Non capiscono i ragazzi e anzi li picchiano, fatto assolutamente vietato da queste parti. Vivono da signori e la forte crisi argentina contribuisce a ciò. Pochissimi sono qualificati per l’insegnamento.
Gli insegnanti che si formano presso l’”Instituto del Profesorado”, lavorano nelle scuole statali, in alcune delle quali fortunatamente si insegna la lingua italiana già dalle elementari. Ma tanti finiscono con l’insegnare presso istituti privati che all’inizio sembrano essere la manna piovuta dal cielo, però man mano che si va avanti negli anni escludono i professori più anziani perché più “cari”.

Dal Master al Corso di aggiornamento, qualcosa non si è mosso

Quando ho saputo che ad Ankara si sarebbe tenuto un corso di aggiornamento dal titolo “Insegnare l’italiano a stranieri nella prospettiva del Framework”, tenuto da due professoresse che avevo conosciuto a Perugia, al Master, ho spinto molto per poter partecipare e non è stato facile poter partire. Gi però il programma del corso aveva destato in me una sorta di strana sensazione, perché nei contenuti era praticamente identico ai moduli del Master in un caso e ad un intervento ad una conferenza tenutasi a Perugia a maggio, nell’altro. I sospetti si sono poi rivelati tutti fondati nonostante le promettenti premesse circa l’importanza del Framerwork, circa la difficolt della sua interpretazione ed attuazione ma soprattutto vista l’importanza che rivestono, quindi, i testi autentici.
Venendo a noi, rileggendo le premesse e alla luce di quello a cui ho assistito, posso affermare che queste due insegnanti hanno riproposto esattamente un pacchetto standard.

Ascoltandole, mi sono prima di tutto resa conto del fatto che riascoltare e ritornare sulle cose gi fatte è sempre utile, ma mi sono anche chiesta se è poi possibile che con la scusa della prospettiva del Framework si debba portare in giro in tutto il mondo lo stesso ed identico format.
Uno dei moduli affrontava i concetti di manipolazione, semplificazione e facilitazione del testo autentico. E’ chiaro che ovunque io mi trovi, per testo autentico intendo comunque la stessa cosa e i suggerimenti, le tecniche per l’approccio al testo saranno le stesse, sono gli studenti a non essere gli stessi.
Se è diverso insegnare ILS ed L2, allora riconosciamo che la nobilt e qualit del format non giustificano comunque questo tentativo di omologazione. E le mie perplessit aumentano proprio quando, seguendo le classificazioni del Framework ( a proposito, da 3 mesi esiste anche la versione turca), mi rendo conto che ad un livello A2 un mio studente ci arriva dopo circa 1,5 anni di studio ( circa 150 ore, 3 corsi da circa 50 ore), mentre uno spagnolo ci metterebbe 1/3 esatto del tempo.
Che cosa intendo dire? Che le peculiarit dello studente turco che studia italiano in Turchia non sono state minimamente tenute in considerazione. Senza dovermi soffermare troppo nello specifico, mi chiedo se questo sia dovuto a una non-richiesta da parte di chi ha contattato la Stranieri per il corso di aggiornamento, che pensava magari di dare un’infarinatura generale ai professori o se in realt la specificit dello studente di ILS non sarebbe stata comunque presa in considerazione. E questo perché? Perché non esiste nulla a proposito dello studente turco, di qualsiasi et , che studia italiano in Turchia o perché questi Corsi sono standard e sta a noi riaddatarli alla nostra realt ?

O°°OO0ooMUMBLE MUMBLEO°°OO0oo

E’ stato fatto ascoltare Fiorello che nel suo programma su Radio2 imita il conduttore di Art Attack. Io ridevo mentre le mie colleghe turche:

cercavano di capire chi fosse essenzialmente Fiorello

cercavano di capire chi stesse imitando

cercavano di capire cosa stesse dicendo

cercavano di cogliere l’ironia nelle sue parole

Alla fine della registrazione è nato un dibattito perché le mie colleghe asserivano che la versione turca di Art Attack non esistesse, altri replicavano che invece c’era. A prescindere da questo: è un cattivo insegnante di italiano chi non conosce Fiorello? I miei studenti non conoscono il programma, presento lo stesso questo ascolto solo per il fatto che è lingua autentica? Quanto e come devo prepararli prima di un ascolto del genere? Quell’ascolto era pensato per una classe di livello B2, se non ricordo male. Non ho studenti B2, che ascolto autentico posso far fare ai miei studenti quasi A2?
I Turchi non hanno trovato ironico Fiorello: italiani e turchi hanno un umorismo diverso. Ma avevo bisogno di ascoltare questo brano per rendermene conto? Da quel brano che elementi della cultura italiana vengono messi in risalto? Che elementi posso sfruttare con i miei studenti universitari ventenni? Ma ai miei studenti interesserebbe?

Io ad Ankara non ho trovato le risposte…..

Ma davvero le mie perplessit sono infondate?

Come al solito O°°OO0ooMUMBLE MUMBLEO°°OO0oo

Dalla mailing list alla petizione, qualcosa si sta muovendo

Nemmeno al più distratto lettore sarà sfuggito il fermento che in questi giorni ha animato la mailing list di [ITA_L2]. Ci riferiamo chiaramente alla petizione Insegnanti Di Italiano Per Stranieri Solidali, che in poco tempo ha raccolto quasi 90 adesioni. E’ la prima volta che assistiamo ad un tentativo di riunire nomi, iniziative, energie, arrabbiature, speranze, esperienze (nonché suggerimenti vari, e noi de ildueblog ne avremmo) che accomunano la maggior parte degli insegnanti di italiano per stranieri del mondo. Anzi, proprio grazie alla raccolta firme e ai commenti lasciati, ci pare di capire che la voglia di farsi sentire, conoscere e di procedere uniti, riguardi tutti gli insegnanti, firmatari da vari paesi del mondo. E’ per questo che scriviamo ringraziando Laura Cambriani della sua iniziativa, tanto semplice quanto illuminante, rinnovandole il sostegno e linkando la petizione, ricordando, come già fai lei nel corpus della petizione stessa, di scrivere le vostre mail nella voce “commenti”, perché a quanto pare non le è possibile visualizzarle.

Quindi se da una parte le diamo pieno appoggio per l’iniziativa, dall’altra ci chiediamo cosa abbia portato a questa petizione: bene la risposta è insita nello scambio di mail piuttosto concitato, che le settimane passate ha animato la mailing list della Università per Stranieri di Perugia.

Il tutto è iniziato con una mail molto breve di Roberto Nottoli che chiedeva il parere di altre persone sul tema del blocco delle nomine per gli insegnanti MAE: è il 28 novembre:

Gentili Colleghi

Leggo da orizzonte scuola ” Il MAE ha bloccato le nomine per i docenti all’estero. Finalmente dico io, essere docente MAE in un paese “molto svantaggiato tipo Argentina, Brasile e Cile, comporta uno stipendio molto elevato (5000 euro il mese circa) e anche una lunga lista di agevolazioni (biglietti aerei, trasporto dei mobili da e per l’Italia, casa pagata,

1000 euro per l’eventuale coniuge a carico e altri soldi per i figli).

Considerato che per essere docente MAE bisogna superare un concorso

aperto solo al personale di ruolo e che in questo periodo di tagli in tutto il mondo della scuola, accolgo di buon grado la notizia sopra citata.

Aspetto vostre opinioni

Roberto

Alla sua mail risponde Franca Pace, che a partire da questo a.a. sta lavorando in Africa (senza specificare la sede), ma il suo intervento è più che altro un tentativo, non riuscito a mio modesto avviso, di ridimensionare i vantaggi. Inoltre emerge una triste verità: molti insegnanti partecipano al concorso nella speranza di vincerlo e poter iniziare una nuova esperienza remunerativa e appagante in questo senso.

Il vero problema circa la qualifica e la preparazione degli insegnanti non è ancora emersa e la stessa Franca Pace non specifica quale materia andrà ad insegnare.

Finalmente però arriva l’intervento di Sonia Cunico, che lavora in Gran Bretagna e che solleva varie questioni tutte importanti, tra cui la preparazione di questo personale che, pur superando un concorso interno, non ha comunque una preparazione reale nel caso sia mandato nelle Università ad insegnare italiano. Sonia Cunico solleva anche il problema degli stipendi d’oro.

Se altri interventi sostengono le tesi fino ad ora illustrate, Alessandro Marini difende la figura dell’insegnante inviato dal MAE. Interessante il suo intervento, che solo in minima parte, ahinoi, tocca il problema della formazione. In realtà l’insegnante che va all’estero può insegnare varie discipline, quindi l’intervento di Alessandro Marini cerca in realtà di riequilibrare l’ago della bilancia, ricordandoci che comunque la chiusura delle nomine significa crisi economica e crisi del pensiero, perché se gli insegnanti non girano, non si muovono nemmeno più le idee. In queste parole c’è una vena malinconica di reazione all’intervento di Roberto Nottoli, a cui è criticato il fatto di essere sembrato addirittura felice per lo stop alle nomine del MAE.

E mentre Viviana Perini ci ricorda le difficoltà della sua esperienza come supplente di un precedente insegnante MAE ritiratosi, Gherardo Ugolini difende a spada tratta gli insegnanti MAE, ma anche lui, proprio alla fine del suo intervento, scrive questo:

5) Sarei molto favorevole a rivedere i criteri di selezione con concorsi un po’ di difficili e con valutazione maggiore del profilo accademico-scientifico (titoli, pubblicazioni etc.).

Qualcosa si sta muovendo….

Siamo a dicembre. Ancora messaggi. C’è chi ricorda che scambi di mail su questo argomento sono ciclici e che lasciano il tempo che trovano se rimangono tali: si tratta di Rossella Livoli (che però ancora non ha firmato la petizione!). Sandro Sciutti in risposta ad Alessandro Marini, ricorda che la posizione di un insegnante MAE è comunque privilegiata e che più nello specifico, ci sono insegnanti di italiano per stranieri qualificati, che negli IIC guadagnano poco più di 1000 euro (come lui), lavorano tanto, hanno titoli e grinta, ma nessuna possibilità di poter partecipare al concorso interno perché non sono di ruolo e inoltre dovrebbero aver lavorato alcuni anni prima di partecipare al concorso e quindi per lui che forse non ha ancora trent’anni, ma la preparazione e l’esperienza, c’è solo un futuro precario e da precario.

Gli interventi si accavallano. Si ripresenta la Rivoli, di nuovo appare Gherardo Ugolini ed interviene Riccardo Cinotti, che in una semplice frase chiarisce che:

la colpa ovviamente non è dei lettori MAE, bensì del sistema della promozione della lingua italiana all’estero.

Sante parole, le sue!

Qui è il momento di Laura Cambriani che poi creerà la petizione e che qui lancia una prima disponibilità a raccogliere i primi tentativi di coalizione. La stessa ci ricorda che non ci si sta schierando contro gli insegnanti MAE, ma contro un sistema di nomine iniquo e che bisogna considerare anche tutte le altre figure professionali precarie in Italia come all’estero.

Lo scambio di mail evidenzia il fatto che siano da tenere presenti quindi molti punti, tra i quali quello dei fondi: sono sempre pochi e sono mal impiegati. E se da un lato il Ministero della Pubblica Istruzione non ne ha per provvedere alla presenza di facilitatori linguistici nella scuola pubblica dove è in aumento il numero degli studenti immigrati, dall’altro il MAE si può ancora permettere di pagare profumatamente i suoi insegnanti.

Siamo tutti d’accordo: c’è un criterio di nomina obsoleto che non garantisce la qualifica, almeno degli insegnanti di IL2, quando questi verranno spediti nelle Università.

Paolo Gimmelli in 4 punti riassume la situazione della questione ed interessante è il punto 4, dove appunto ci ricorda che non solo gli insegnanti MAE ad essere pagati troppo, siamo noi, i restanti precari sparsi nel mondo (Italia compresa) ad essere sottopagati.

Vedo con piacere che, approfondendo le nostre conoscenze e scambiando le nostre opinioni, facendo circolare le idee, stiamo piano piano arrivando ad avere una visione più ampia del problema. Il che ci aiuta ad analizzare meglio la situazione.
E non importa se è un problema di cui si parla da trent’anni. Se quelli che c’erano prima non sono riusciti ad ottenere risultati concreti, perché non possiamo tentarci noi, ora? Forse anche grazie alle tecnologie ciò che prima si riduceva a pettegolezzo risentito nei corridoi delle università o degli IIC, oggi può diventare un vero e proprio movimento rivendicativo.

Io credo che l’origine del problema è nella mancanza di una politica linguistica da parte delle istituzioni italiane:

1) quanti sanno in Italia cos’è l’insegnamento dell’italiano come lingua straniera?

Fuori dal nostro ambito non si sa di cosa ci occupiamo, cosa facciamo, a cosa serviamo.
E lo spot della Dante trasmesso ultimamente in tv non so se abbia sortito qualche effetto.
Cosa vendeva?

2) le altre lingue possono contare su agenzie che si occupano della politica linguistica nel mondo. British Council, Alliance Francaise, Goethe, Instituto Cervantes e per il portoghese (il portoghese!!!), l’Instituto Camoes. Noi?

3) abbiamo un’eccessiva frammentazione delle risorse a livello pubblico e privato. Risultato, non possiamo mettere in cantiere progetti ambiziosi. Per esempio a livello editoriale per l’inglese so di poter contare su poche grandi case editrici (Cambridge, Oxford, Longman). In Italia sono almeno quattro. Fatte le dovute proporzioni sono “caccole”, prendo a prestito il termine usato proprio da un editore confidenzialmente quando si affronta l’argomento. Invidio i materiali a disposizione dei nostri colleghi di inglese e di spagnolo.

4) quando parliamo dei MAE non dobbiamo esigere un livellamento verso il basso.Mi spiego: non sono loro che guadagnano troppo ma siamo noi che guadagniamo
troppo poco. E non aggiungo altro a quanto detto finora sulla formazione e sui criteri selettivi del personale. Nulla da eccepire.
Ecco. Su questi quattro punti credo si debba lavorare per migliorare la qualità della nostra offerta culturale e linguistica all’estero altrimenti meglio affidarci a pizza, spaghetti, mamme, figli mammoni, mafiosi, latin lover, ecc. ecc. (tanto
per ricollegarmi a un altro argomento recente del forum).

Paolo Gimmelli

Intanto si levano voci che sperano in una coalizione, in una riunione di forze ed intenti.

Carlo Guastalla offre una sintesi equilibrata del problema:

Per me è un dato di fatto che il lettore MAE ha un privilegio immotivato e svolge mansioni che non dovrebbero essere sue, per la semplice ragione che non gli sono richieste quelle competenze. Il fatto che alcuni siano preparati e quelle mansioni le svolgano egregiamente non cambia le cose.
Credo sia anche nell’interesse di chi parte come lettore MAE avere la certezza di essere la persona più qualificata per quel ruolo. Il fatto che non l’abbia dovrebbe accomunare tutti per uno stesso obiettivo: chiedere che ci siano criteri più corretti per avere quel compito assegnato, chiedere che tutti quelli che hanno le competenze per quel ruolo partano alla pari in un concorso per ottenerlo.

Come farlo è arduo a dirsi. Ma se almeno urlassimo tutti la stessa richiesta, da fuori (i numerosissimi insegnanti non MAE che all’estero lavorano in condizioni infami, anche in ambiti istituzionali come gli IIC) e da dentro, gà sarebbe un bel passo in avanti.

Il resto degli interventi, come quello di Tindara Ignazzitto, di pochi giorni fa, ricordava che ci sono molti precari con formazione anche in Italia.

Ed è proprio per assecondare tutte queste voci che chiediamo a tutti i lettori di firmare la petizione, di inoltrarla ai colleghi e di seguire attentamente l’evoluzione delle cose, perché siamo finalmente ad una svolta cruciale.

A proposito

Di tutte le persone citate, solo in 4 hanno firmato la petizione. Dobbiamo muoverci!!!!!! Non c’è tempo da perdere!!!

Più dinamismo nel mondo culturale italiano

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

In una biblioteca dell’Indiana – USA – ho potuto leggere il “Corriere della Sera” di qualche giorno fa con l’articolo sull’apertura delle biblioteche di Napoli anche di sera proposta da Francesco Rosi e poi sostenuto dal Ministro Fioroni. E non posso che rallegrarmene. Anzi, pochi giorni fa pensavo di scrivere qualcosa del genere e mandarlo a qualche rappresentante politico italiano. Stavo preparando una lettera con qualche riflessione sulla differenza tra università italiane e università statunitense.

Io ho studiato in Italia, in tre università e tre all’estero, senza contare quelle in cui ho insegnato; quindi qualche termine di confronto ce l’ho.

Qui nelle università americane ci sono delle caratteristiche decisamente consigliabili e che rendono il lavoro dinamico, veloce e molto produttivo. Aspetti banalmente pratici ma che costituiscono una differenza enorme rispetto all’ambiente italiano e che aumentano moltissimo la produttività. Ve ne dico alcuni.

Chi lavora all’università qui può lavorare, avendo le chiavi dei propri uffici, anche di notte e di domenica.

Le biblioteche sono aperte praticamente sempre, anche i fine settimana e fino alle 23 o 24 di sera. Nelle biblioteche un utente può vedere e sfogliare lui stesso i libri e prendersi quelli che vuole senza limite (anche 2000 libri se vuole) ma restituendoli dopo un mese (non è come in Italia in cui, come dice Umberto Eco, ‘le biblioteche servono non a dare i libri ai lettori ma a proteggerli dai lettori’). Un utente ha una scheda per fotocopie e stampe che gli vengono date al momento dell’iscrizione o assunzione nelle università (e sono varie centinaia) e cosi’ in moltissimi posti del campus può fare fotocopie o stampe con facilità – nell’account che può aprire quando si iscrive riceve automaticamente queste fotocopie , il che vuol dire che aprendo la sua email può usare questo materiale praticamente dappertutto nel campus. Sembrano sciocchezze ma velocizzano moltissimo il lavoro. Nelle biblioteche inoltre un utente puo’ prendersi i libri anche completamente da solo, nel senso che mette poi in certi apparecchi la sua scheda universitaria e registra da solo tutti i libri che prende, anche senza chiedere al bibliotecario. Ovviamente prima di uscire scattano allarmi se non registra.

Per non dire poi della possibilità di fare un PhD in USA, cosa praticamente impossibile ai piu’ in Italia. E’ vero che costa molto studiare in USA, ma ci sono molti modi ‘produttivi’ per l’università stessa di impiegare studenti o ricercatori.

E’ noto il paradosso del sistema scolastico italiano che mantiene i giovani fino a una certa età spendendo un sacco di soldi per la loro preparazione scolastica, e poi quando diventano forza lavoro, specie la piu’ qualificata, l’università italiana e la società non offrono possibilità di sostegno, per cui paradossalmente spende solo per farli studiare e non guadagna i frutti di questo investimento. E quelli che non vogliono essere troppo ostacolati emigrano e fruttano moltissimo anche economicamente al mondo dell’industria e della ricerca straniera.

Non idealizzo l’America, anche perché io stessa sto pagando a caro prezzo certa arroganza della classe dirigente e certi abusi di potere tipici del capitalismo cinico americano. E nonostante questo spero di continuare a lavorare in USA, perché qui si possono realizzare molti progetti che in Italia naufragherebbero prima di nascere.

Ottimo il libro di Lilli Gruber, America Anno Zero, per la sua analisi della più recente situazione socio-politica nell’America di Bush. Spero che anche gli Americani lo possano leggere presto.

Concludo sperando in una crescita di vivacità e di dinamismo in Italia. Le potenzialità, come si sa, ci sono, ma sono ancora troppo soffocate da impedimenti di ogni genere.

Cordiali saluti,

Roberta Barazza

C’era una volta: lo sgomento

Sono alle prese con la correzione degli esami di metà semestre, pagine e pagine di esami, scritti rigorosamente a matita, perché le regole circa i comportamenti da tenere durante l’esame erano tra le più bislacche, ma nulla era scritto circa il dover scrivere con la penna, ba!

Comunque, ecco… la correzione degli esami non piace a nessuno, ammettiamolo, ma va fatto. Le pagine sono veri campi di battaglia soprattutto al terzo anno. Ho esattamente 30 studenti del terzo anno, due classi da 14 e da 16 studenti.

Quello che posterò oggi è la composizione di una studentessa, che credo sia tra le peggiori dei 30, sia per la quantità degli errori sia per la pochezza dei contenuti. La trascrivo e mi chiedo: cosa posso realmente fare come insegnante? Cosa devo affrontare? Cosa ho sottovalutato, sopravvalutato o non considerato?
Intanto vorrei presentarvi F., l’autrice…F. ha circa 20 anni. Studia una materia legata legata al mondo dei computer (cioè è tra gli studenti che sono reputati avere un po’ di sale nella zucca). Non so se sia portata o meno per le lingue. Comunque è tra le più timide. E’ molto educata e silenziosa e sempre sorridente. Sta al terzo livello, quindi con me ha rivisto il passato prossimo, ha studiato sin da ottobre imperfetto, imperfetto e passato prossimo ed alcuni connettivi come siccome, poiché , perciò, dunque, quindi, mentre e durante. Abbiamo fino ad ora rivisto i pronomi diretti ed indiretti, che erano nell’esame.

Circa 12 ore prima dell’esame lei e una sua cara amica e compagna di corso vengono a ricevimento e mi dicono che non avevano ben capito la differenza tra passato prossimo ed imperfetto e tra i pronomi diretti ed indiretti. Cado dalle nuvole ma mi arrabbio anche, non direttamente con loro. Abbiamo avuto abbastanza tempo per rivedere questi argomenti, soprattutto c’è stato il ripasso e inoltre i pronomi indiretti e diretti sono argomenti dell’anno precedente. A me sembrava che fosse tutto chiaro. La classe aveva risposto positivamente (se così di può dire) al ripasso, non avevo rilevato difficoltà particolari rispetto a quelle che avevamo immaginato proponendogli quel tipo di ripasso. Poi però loro vengono a ricevimento e mi crolla il mondo. Ma mi arrabbio anche, perché 12 ore prima dell’esame, è un po’ tardi per schiarisi dubbi di quella portata.

Ma passiamo alla composizione:

TITOLO: RACCONTA DI UNA VACANZA, DI UN VIAGGIO CHE TI E’ PIACIUTO MOLTO: COSA HAI FATTO, COSA HAI VISTO, CHI HAI CONOSCIUTO?

SVOLGIMENTO: Io è il mio amiche sono andati sul monte Uludag. Per tre giorni. Siamo stato in hotel. Hotel era’ bellisimo grande. Il mio amiche e io siete sciveti. Abbiamo giocato con il neve, abbiamo leggeto il libri, abbiamo dormito. Il tempo è troppo freddo. La sera siamo andati la restarunte per mangiare. Dopo siamo andati il bar per siamo ballati e siamo bevuti. Guando tornavamo a hotel cenavamo, guardavamo la TV, andavo e letto. Passavamo le vacanze a hotel dello mio Padre. Siamo andati con il mia macchina. Hai conosciuto il mia padre.

Punteggio massimo previsto: 15, diviso in 5 grammatica, 5 lessico, 2,5 pertinenza al titolo e 2,5 lunghezza (si raggiungono i 2,5 punti con 80 parole, che sono il minimo richiesto).

Viste le distanze tra L1 ed L2 è apprezzabile l’uso dell’articolo determinativo. Il passato prossimo denota confusione da parte della studentessa. L’imperfetto non è usato correttamente, è l’uso il vero difetto.
Quanta influisce negativamente la distrazione o l’eventuale non predisposizione di uno studente nel produrre una tale composizione?

Ma io cosa posso veramente fare? Perché se è pur vero che nello scritto escono fuori tutte le difficoltà, [soprattutto contando che non ci sono supporti come il dizionario e si è stressati] in realtà credo che una tale composizione (oltre al fatto che realmente dalla studentessa mi è stata comunicata una difficoltà), sia estremamente rappresentativa della difficoltà o incapacità di rielaborare concetti come l’imperfetto e l’uso di questo e del passato prossimo.

Ovviamente da parte mia c’è tanto sgomento e perplessità. E mi chiedo anche quanto male posso aver presentato io l’argomento per aver avuto un risultato così scarso. E cosa mi sta succedendo visto che non riesco a rendermi conto delle condizioni dei miei studenti. Che F. non fosse una studentessa brillante lo avevo capito, ma credo che la situazione mi stia sfuggendo dalle mani…

Quali dovrebbero essere le mie prossime mosse?

Prevedo intanto solo la fotocopia delle composizioni degli esami…che a loro comunque non possono essere consegnanti, ma solo mostrati a ricevimento.

C’era una volta: successive settimane di lavoro

Ladylink in Turchia ha smesso di contare le settimane di lavoro, oramai si può parlare di mesi… I ritmi sono veramente serrati. Ho riportato dei ritardi sul programma del secondo anno, denso di grammatica. Abbiamo dovuto recuperare e nel frattempo prepararci all’esame di metà semestre (tale Mid Term) che si terrà domani sabato, per la gioia di tutti, studenti e insegnanti…

In queste settimane di silenzio ci sono stati momenti di crisi, perché ho avvertito una grande distanza tra quello che so fare e che penso di fare con un minimo di criterio e di fondamento. Quello in cui credo e che ho sperimentato è molto distante da quello che faccio in classe, alle prese con i pennarelli monocolore…visto che l’università passa solo blu e nero. Per quanto il libro di testo sia Rete, in realtà di comunicativo riesco a fare ben poco. Ancora siamo schiavi delle fotocopie, questo ha demotivato alcuni studenti a portare il libro, figuriamoci a comprarlo, io non li biasimo.
Stasera però non ho energie per riportare qualcosa di biografico, anche perché sono reduce da 4 ore di ricevimento (mi sembra giusto venire a chiedere spiegazione sull’uso combinato di imperfetto e passato prossimo a 12 ore dall’esame!) e 4 di lezione, di cui le ultime 2, dalle 1730 alle 1920, mi hanno confermato che ho forti problemi di gestione della classe, che comunque è composta da studenti veramente adorabili, il problema è la classe composta da 23 adorabili studenti. Io arrivo in classe stanca, anche se motivata. Anche loro sono stanchi, giustamente, perché hanno avuto altre lezioni prima. Sono vivaci perché hanno 20 anni, sono vivaci perché hanno 20 anni e sono amici e non tutti seguono il corso per interesse e peculiarità, ma perché sono obbligati ma almeno con gli amici passa prima il tempo. Fatto sta che sono veramente indomabili. Da dopo il Mid Term cercherò qualche soluzione consultandomi con i colleghi e poi chiamerò Ian, quello che poi è venuto a fare osservazione in una mia classe. Più in là avrò modo di riportare il suo commento.

Vi lascio e vi auguro BUON FINE SETTIMANA, con un articolo preso dalla rivista DIARIO, a cui sono abbonata e della quale mi sono stati appena inviati gli ultimi 3 numeri di settembre. Nel numero del 15-09, a pagina 28, c’è un riquadro dal titolo “Dietro la lavagna”, di Franco Milanesi, chiaramente legato all’inizio dell’anno scolastico.

APPELLO

Faccio così: mi presento, nome e cognome, materia, ore settimanali. Poi affronto alcuni nodi sulle interrogazioni e i voti. Questioni disciplinari (“Non metto note, ma vi invito a fare un giro fuori dall’aula se siete in fase di ipercinetica”), programma. La nuova classe è lì davanti, silenziosa e attenta come non lo sarà mai più nel corso dell’anno. Ti osserva per capire, dalle parole e da sfumature non verbali, quale mosaico caratteriale rappresenti: rilassato, qui comando io, preparatissimo, indifferente, uno che quando annaspi offre la mano oppure della serie “non si fanno prigionieri”. Mentre mi sezionano faccio l’appello. Leggo il cognome ed alzo la testa per guardare chi ha alzato la mano. E’ importante la memorizzazione rapida, un segno preciso di riconoscimento. Così faccio strane connessioni tra le fisionomie e le evoluzioni mentali che suscitano i cognomi. Il primo giorno, ogni anno, è identico a quello precedente, un rito. Sarà per questo, che dopo l’appello, mi + scappato un liturgico “l’ora è finita, andate in pace”. Mi è uscito d’istinto, saranno i tempi. Ma è una bella formula, laidamente declinata, per iniziare un anno, e non solo a scuola.

A presto

Ladylink, sempre e comunque non superstiziosa

I Master universitari: breve guida

Nascono, crescono, si trasformano, si confondono. Sono i Master universitari. I Master di primo livello sono accessibili a chi possiede una laurea italiana quadriennale del vecchio ordinamento o una laurea triennale del nuovo ordinamento, danno 60 crediti, durano da un’anno e mezzo a due anni e costano intorno ai 2000 euro.

Le 78 Università italiane nel 2006 ne hanno organizzati ben 2.054, se ne possono trovare per tutti i tipi, come quello in “Bullismo e devianza” o quello per “Agenti di calciatori“. Anche a livello ministeriale, dopo l’aspettativa creata dalla gestione Moratti, si parla di “grande illusione”. Secondo una ricerca di AlmaLaurea (che accocia 50 Università) il Master di primo livello non fornisce alcuna possibilità in più di trovare lavoro (Sotto il profilo occupazionale non si registrano differenze tra coloro che hanno terminato un master universitario di primo livello rispetto ai colleghi che non hanno concluso alcun tipo di esperienza analoga: entrambi i collettivi lavorano) e, dato dettato probabilmente dai misteri della statistica, fa guadagnare meno (Anche per quanto riguarda il guadagno l’esperienza di master universitario di primo livello non risulta apprezzata: il guadagno mensile netto è inferiore a quello dei colleghi che non l’hanno svolto).

Intervistata sul Venerdì di Repubblica della scorsa settimana, Andrea Cammelli, presidente di ALmaLaurea, afferma: “Come spesso succede, le fasi di sperimentazione creano il caos. (…) Noi chiediamo da tempo un bollino blu per la certificazione”. Bollino blu che in realtà già esiste: lo fornisce l’Asfor, che ha criteri così esigenti che ben pochi corsi se lo possono permettere.

Il consiglio è quindi di non buttarsi nelle mani del primo venuto o del più vicino a casa, fare una ricerca seria, possibilmente parlare con qualcuno che già è passato per quelle aule o quei tutor. E, non meno importante, valutare se veramente c’è bisogno di un Master. La corsa ad ingrassare i curriculum poi nel nostro settore è ormai cronicizzata: non esistendo dei criteri che definiscano l’insegnante di italiano per stranieri, ecco che più titoli ho più mi illudo di trovare lavoro. Ma, lo sappiamo, questo non corrisponde completamente al vero.

Concludiamo questa nostra filippica con un breve quadro dei Master del nostro settore, niente più che dei link, attraverso cui districarsi e cercare di valutare l’offerta formativa e la serietà degli enti.

Master di I livello:

Università per Stranieri di Perugia – Didattica dell’italiano lingua non materna

Università per Stranieri di Siena – Contenuti, metodi e approcci per insegnare italiano ad adulti stranieri

Università Ca’ Foscari, Venezia – Didattica e promozione della lingua e cultura italiane a stranieri – itals

Università degli Studi di Padova – Didattica dell’italiano come L2

Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” – L’insegnamento dell’italiano a stranieri: lingua e cultura

Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano – Didattica dell’Italiano L2

Università degli studi di Udine – Italiano lingua seconda

Università degli Studi “G. d’Annunzio, Udine – Italianistica per la didattica dell’italiano agli stranieri

Libera Università di Bolzano – Didattica dell’italiano L2. Culture migranti, lingue e comunicazione

Master di II livello:

Università Ca’ Foscari, Venezia – Didattica e promozione della lingua e cultura italiane a stranieri – itals

C’era una volta: tra terza e quarta settimana di lavoro

EXPECTANCY GRAMMAR: CREDENZE ED ASPETTATIVE DEL PROFESSORE DI ITALIANO PER STRANIERI

Tra la terza e la quarta settimana di lavoro in quel di Izmir c’è una domanda che mi assilla e che stasera ha deciso di non mandarmi a dormire: ma noi convinti sostenitori della expectancy grammar, ma che aspettative abbiamo nei confronti dei nostri studenti e nei confronti di ciò che gli propiniamo convinti in tutto e per tutto che sia la cosa migliore per loro e da fare in classe con loro?
In questa universit , in questa ridente citt bagnata dall’Egeo, sto mettendo a dura prova tutte le “credenze” ed esperienze che ho nell’ambito della didattica dell’italiano a stranieri.
Rispettare il programma settimanale alla fine non è difficilissimo. E’ molto più difficile avere il coraggio di proporre tutto quel materiale e di dover “torturare” gli studenti con una serie di esercizi che anche con la più bella presentazione, rimangono mera applicazione delle regole grammaticali.
In realt , proprio in virtù delle mie “credenze” e delle mie esperienze, ho cercato di indirizzare gli studenti verso quel “come” proporre determinati argomenti e quel “come” arrivare a capire determinati funzionamenti della grammatica italiana in cui credo. Non che i risultati non siano soddisfacenti, anzi. Nel testo con cui abbiamo presentato l’imperfetto indicativo erano presenti 3 persone del verbo essere: ero, era ed erano. Abbiamo lavorato alla lavagna. Ho semplicemente scritto i pronomi personali e ho chiesto loro di cercare le 3 persone del verbo “essere” presenti nel testo. Quindi gli ho fatto notare le vocali della prima e terza persona e di intuire la seconda. Non sono stati necessari vari tentativi, perché quasi tutta la classe ha risposto coralmente con un ERI, ed erano veramente entusiasti di questo successo. Li ho un po’ ingannati per la I persona plurale, perché chiaramente la risposta è stata ERAMO, ma dopo aveci scherzato un po’, gli ho detto che c’erano due lettere in più, “VA”, che in realt sono proprio quelle tipiche di questo tempo verbale. Coniugare il verbo AVERE quindi è stata una passeggiata ed io ho ripetuto questo ragionamento con entrambi i 301, i terzi livelli.

Con i 201, i secondi livelli, le mie perplessit aumentano soprattutto per la diversit delle classi. In particolare quella del lunedì e del martedì, dalle 1530 alle 1720, ha la capacit di lasciarmi ogni volta di stucco. E’ l’unico secondo livello che mi ha espressamente chiesto di parlare in inglese. Il problema non è quello di dover spiegare la grammatica italiana in inglese, perché non credo che una spiegazione grammaticale in inglese sia di impedimento al processo metacognitivo o tolga allo studente quella minima possibilit di ascoltare un nativo parlare. Non è proprio così e sono arrivata a questa conclusione dopo lunghe riflessioni, non solo tra me e me. Gli ho comunque chiesto in cambio uno sforzo, e cioè di sforzarsi di capire il più possibile quando parlo in italiano perché la lingua inglese come lingua veicolare ho paura che diventi poi una scusa per ottenre velocemente quello che produrre in italiano costerebbe sforzi notevoli. L’inglese come lingua per la spiegazione grammaticale comunque facilita anche a me la spiegazione di alguni concetti, come quello della differenza tra “sapere” e “potere”: “to be able” e “can”, ma spesso usare l’inglese come tramite aiuta lo studente che ha la possibilit di associare le nuove regole della lingua italiana a quelle della grammatica inglese, visto che la lingua turca funziona in modo notoriamente diverso (per non dire opposto). E’ qui infatti che la grammatica contrastiva diventa un punto di forza e il pericolo di transfert negativo è trascurabile (mi assumo le responsabilit dell’affermazione).

Ma non è di questo che volevo trattare.
Sono le aspettative frustrate, quelle che non mi permettono di spegnere il computer stasera.
In questo gruppo delle 1530 ho proposto per due giorni consecutivi due attivit ludiche, perché volevo intanto vedere come poteva essere la loro reazione e soprattutto non avevo voglia di introdurre un argomento come quello dei pronomi diretti, visto che ci sar una settimana di pausa e sappiamo come rientrano gli studenti dalle vacanze.
Quindi mi sono presa 4 ore di tempo per recuperare un argomento che non ero riuscita a trattare e per impostare una sorta di ripasso-pratica.
Lunedì ho proposto un’attivit forse non ben calibrata visto l’impatto della stessa sugli studenti. L’idea era quella di farli lavorare con i verbi modali. Ho scritto su dei fogli degli eventuali problemi di ragazzi di 20 anni, come loro. I problemi prima li ho scritti alla lavagna in modo che potessero leggerli e tentare di dare almeno un consiglio per problema. Per esempio: “ai miei non piacciono i miei amici”, “mi piace un/una ragazzo/a che non conosco”. Dopo aver ottenuto da loro una frase con un modale per ogni argomento circa, ho chiamato i ragazzi alla cattedra e gli ho appeso il foglio con la frase alle spalle: dovevano leggere i problemi degli altri e dare consigli usando i modali + infinito. Ognuno doveva indovinare qual era il problema scritto alle proprie spalle. C’è stato molto entusiasmo e partecipazione, ma ignoro quello che si siano detti, visto che urla turche si alternavano a flebili verbi o parole di un italiano verosimile. Ma si sono lasciati prendere e hanno voluto attaccare anche a me una frase, indovinate un po’ “non capisco bene le lezioni di italiano” e mi hanno anche dato consigli! Il feedback di questa attivit è stato minimo, bassissimo, ma almeno li ho visti muoversi, animarsi ed in realt anche fare forse troppa confusione rispetto al minimo di pratica in L2. Forse non erano abituati, forse non erano abbastanza motivati, forse erano anche annoiati perché hanno visto la cosa come una perdita di tempo, ma ho sentito che un minimo stava funzionando. Ci sono state solo due ragazze (in un gruppo di circa 14 studenti presenti) che erano contrariate. Una mi ha anche detto: “But why? It’s boring”.
Certo tutto mi sarei aspettata tranne che “noioso”. Ma sono andata avanti come un treno, facendola alzare e muoversi come gi stavano facendo gli altri.

Il giorno dopo prendo un’attivit da RICETTE PER PARLARE (Alma Edizioni): “Pigro o attivo?” Rivediamo gli avverbi di tempo e la coniugazione di un irregolare “salire” e un verbo riflessivo. I ragazzi lavorano, chi più e chi meno. Chi bene e chi meglio. Chi non mi ascolta e non svolge il compito oralmente e chi si sbriga o si racconta i fatti propri. Fatto sta che i ritmi come al solito sono diversi e mentre cerco di dare un minimo di tempo in più ad alcuni, perdo per strada gli altri. Allora decido di darci un taglio e di sentire cosa mi sanno dire della “conversazione” avuta con il compagno. Chiedo di riportare alla classe due azioni e mi accorgo che chi diceva di aver lavorato e di aver finito il lavoro non solo non sapeva trovare un’informazione sul compagno con il quale continuava a confabulare in L1, ma non riusciva nemmeno a coniugare il verbo più semplice… non parliamo poi dei verbi riflessivi o di “andare”.
Lì allora non ci ho visto più. In inglese ho esposto tutte quelle che erano le mie ragioni: “Se facciamo la grammatica non va bene perché siete stanchi e vi stancate ancora di più. Facciamo un’attivit diversa e non seguite le mie istruzioni. Mi dite di aver finito l’esercizio e scopro che non sapete come coniugare i verbi. Ma cosa c’è che non va?”.
Gi , cosa c’è che non va?
Ho riversato su di loro le colpe di un’attivit che non ha dato dei risultati soddisfacenti. Sono da giustificare gli studenti perché forse non sono abituati a fare cose del genere in una lezione di lingua straniera?
Sono giustificata io perché comunque ho fatto ciò in cui credevo e come io credevo?
In realt non solo non riesco proprio a giustificarmi ma non riesco nemmeno a capire perché la reazione della classe ad un’attivit diversa e che pensavo gradevole e meno stancante, sia stata quella di portarla avanti con molta insofferenza.
Essendo il nostro lavoro, è chiaramente frustrante raccogliere zero quando si hanno aspettative alte soprattutto perché l’attivit “Pigro o Attivo” è quanto di più classico e di più ripetuto nelle classi dei primi livelli.

Spesso basta uno sguardo demotivato di uno studente per togliermi la grinta che porto sempre in classe insieme ai libri, fotocopie, pennarelli e quant’altro… e lo sguardo demotivato di mezza classe può veramente togliere l’entusiamo…
Meno male che domani è un altra…lezione!

p.s. in questa famosa classe delle 1530 c’è SaygIn, un ripetente che rispetto agli altri sa gi le regole ma segue senza annoiarsi e disturbare, anzi, mi stupisce ad ogni lezione. SaygIn lunedì ha seguito l’attivit sui verbi modali seduto su un banco ma comunque sorridente. La prima settimana di corso ha ammesso di odiare i compiti per casa e ho trovato la sua esclamazione insopportabile e lo scrissi nel post. La settimana dopo ha fatto in classe i compiti per casa e voleva consegnarmeli, perché sicuramente, a detta sua, se li sarebbe dimenticati, e così è stato: la settimana dopo li aveva dimenticati e mi ha replicato: lo avevo detto, io! Martedì invece i compiti li aveva fatti e li aveva con sé e me li ha mostrati orgoglioso.
Ecco, il racconto dell’evoluzione di SaygIn è la degna conclusione di questo post, che quindi ha un finale positivo a sorpresa anche per me. Tutti i miei sforzi allora non sono vani, se SaygIn ha acquisito un po’ più di responsabilit ed interesse verso una materia di studio.

Questo non vuol dire che la mia mente non continui ad arrovellarsi.

Adesso, però, mi aspetta Morfeo!

La scuola dei miracoli

E’ uscito ieri su D – La Repubblica delle donne, un articolo con questo titolo. Il sottotitolo recita: “REGNO UNITO. E’ in un quartiere degradato di Londra. Ha 600 alunni, 120 disabili, 100 rifugiati. Tredici anni fa Millfields stava per chiudere. Oggi grazie a una geniale school manager è il fiore all’occhiello dell’amministrazione Blair. Ed è un modello invidiato all’estero.”

La scuola è la Millfields Community School, a East London. Tredici anni fa era in stato di abbandono, le risorse inesistenti, l’assenteismo del personale era superiore al 50%. Da allora la direttrice, Anna Hassan, ha totalmente ribaltato la situazione, creando un modello visitato e studiato da ministri dell’istruzione di Cina e Russia.

Nelle scuole elementari inglesi i risultati dei bambini vengono misurati con gli Standard Assessment Tasks or Tests (Sats). Lo scorso anno, oltre l’80% degli alunni della Millfields ha superato i test. E’ un risultato davvero incredibile, dico ad Anna Hassan, considerando che per oltre il 70% dei bambini l’inglese è la seconda lingua. Non solo, a scuola se ne parlano più di 40 diverse e oggi ben il 10% degli iscritti è formato da profughi o persone in cerca di asilo. Molti alunni provengono da famiglie indigenti. 300 hanno diritto alla mensa gratis e più di 120 sono “special needs”, cioè hanno bisogno di sostegno.

Eccola, la scuola del plurilinguismo a cui aspiriamo. La scuola che si fa agenzia di formazione. Ogni trimestre assume un certo numero di tirocinanti che desiderano partecipare al Graduate Teacher Program. I più bravi sono assunti come insegnanti non abilitati per un anno e partecipano a un training fatto da insegnanti esperti.

Paura di ghettizazione? La direttrice assicura: “da quando abbiamo dimostrato che il metodo dell’integrazione e della condivisione delle diversità ha successo, sempre più genitori della middle-class chiedono di poter iscrivere i propri figli qui. Il prossimo trimestre arriveranno soprattutto bambini della middle-class. Questo prova che abbiamo notevolmente migliorato i risultati accademici. Ma dobbiamo riuscire a mantenere un giusto equilibrio fra le famiglie provenienti dalle varie classi sociali.

Fioroni, dove sei? Qui l’articolo completo.