Rewriting oneself

Abbiamo già parlato dell’antropologia linguistica in un precedente post.
Secondo Patrick Boylan le capacità etnografiche sono fondamentali in uno studente di lingue dei giorni nostri.
Obiettivo dell’approccio etnografico è infatti quello di comunicare interculturalmente, di saper entrare in contatto ed adattarsi al modo di esprimersi e al senso che in un’altra cultura si dà alla comunicazione, all’entrare in rapporto, alle parole, alla prossemica, al ridere, al toccarsi, al guardarsi…
Pur non essendo esperti nelle conoscenze formali della lingua, padroneggiare il senso della comunicazione in una cultura infatti permette di instaurare con molta più facilità una relazione autentica con l’altro e, di fatto, permette all’apprendente di entrare in un circolo virtuoso per comprendere anche le ragioni formali di una lingua e quindi la sua struttura.

Scrive Boylan in suo articolo intitolato “Rewriting oneself“:

Per imparare a comunicare interculturalmente in una seconda lingua, sono utili le tecniche narrative ispirate al costruttivismo sociale. Il narratore e l’ascoltatore vengono ricollocati in un nuovo mondo di valori esistenziali. Gli studenti creano personaggi coerenti con la cultura che si sta studiando, quelli con cui possono facilmente identificarsi in brevi narrazioni prodotte in proprio, orali o scritte, che possano recitare in situazioni di vita reale. Attraverso il “rewriting themselves” (riscriversi) gli studenti estendono gli orizzonti di comprensione sia di loro stessi che dei loro interlocutori. Questa capacità di de- e ri- centrarsi, basata su una trasformazione autoindotta della coscienza, è essenziale per una comunicazione efficace in situazioni interculturali. Inoltre l’acquisizione di questa competenza facilita l’apprendimento delle caratteristiche più formali e meccaniche della L2.

© 2003, Patrick Boylan. Paper presented at the 4th annual IALIC conference, “The Intercultural Narrative”, Lancaster University (Department of European Languages and Cultures), 14-15.12.2003.

Consigliamo la lettura dell’intero articolo (solo in inglese, haimé), che propone attività didattiche da svolgere con classi di studenti principianti, intermedi e avanzati. Per raggiungerlo clicca su www.boylan.it, clicca su “ricerca” e cerca “Rewriting oneself”.

Sarebbe interessante incrociare le teorie di questo approccio (che tanto ha ereditato dalla lezione dell’attore e maestro di recitazione K. S. Stanislavskij, basata sull’approfondimento psicologico del personaggio e sulla ricerca di affinità tra il mondo interiore del personaggio e quello dell’attore) e quelle del TLIL, l’insegnamento della lingua attraverso il teratro. Ne uscirebbe senz’altro qualcosa di buono.

L’altra formazione – Elle::Due

Se le Universit sono le strutture più qualificate a svolgere il ruolo di formazione di insegnanti di italiano per stranieri, ad uno sguardo poco attento non si capirebbe il successo dei centri privati di formazione, alcuni dei quali riscuotono grandi consensi.
Di fatto il training universitario continua ad essere centrato prevalentemente su aspetti teorici dell’insegnamento e seppur qualcosa è stato fatto negli ultimi anni, ancora non è abbastanza e chi esce da un master universitario il più delle volte ancora non si sente sicuro di entrare in classe semplicemente per il fatto che in classe, “dall’altra parte”, c’è stato troppo poco.
Cominciamo quindi oggi la presentazione di strutture non universitarie che offrono corsi di formazione e/o aggiornamento le cui pratiche abbiano sì basi teoriche solide ma che siano principalmente orientate a formare insegnanti in grado di affrontare in modo consapevole e sicuro la classe di lingua.

Elle::Due Language Training Centre è situata a Settignano, vicino Firenze, in una villa del 15° secolo (Villa Morghen), e oltre ai corsi di italiano offre due tipi di interventi per gli insegnanti o aspiranti insegnanti: 1. interventi di formazione professionale secondo l’approccio e i temi
proposti dal centro tesi sia a formare nuovi insegnanti sia ad offrire agli insegnanti in servizio un’opportunit di ripensamento o di ampliamento del proprio modo di insegnare la lingua; 2. Aggiornamento su misura su temi e/o problemi posti dal richiedente, per dare risposte concrete e verificabili sul campo a questioni e problemi che costellano la pratica didattica dell’insegnante di lingua.
Il modello formativo proposto da Elle::Due si basa sulle nozioni di “esperienza” e di “riflessione”.
I partecipanti fanno esperienza di ciò che avviene in una classe di lingua attraverso la riproduzione di situazioni realistiche di apprendimento e insegnamento. Sono quindi costantemente stimolati ad assumere un atteggiamento riflessivo e critico verso le esperienze svolte e l’intera propria professione di insegnante di lingua. Sono curati gli aspetti psicologici e relazionali del contesto di apprendimento in gruppo.
Negli interventi si privilegia una stile attivo. I partecipanti apprendono a svolgere attivit didattiche nel ruolo sia di studenti che di insegnanti. Gli elementi teorici sono richiamati per problematizzare i contesti di esperienza. Il lavoro si svolge spesso in coppie o piccoli gruppi. C’è un uso frequente di videoriprese per sottoporre ad analisi e discussione momenti di pratica didattica e comunicazione nella classe.
Per informazioni più dettagliate e contatti vi rimandiamo al sito internet di Elle::Due

L’antropologia linguistica

Proponiamo oggi un interessantissimo articolo dal titolo “L’apporto dell’antropologia linguistica all’insegnamento delle lingue straniere”. L’autore, Partick Boylan, è insegnante di Inglese per la Comunicazione Interculturale presso l’Università di Roma 3.

Troverete qui sul blog la prima parte dell’articolo, vi rimando per la lettura dell’articolo completo al sito del Prof. Boylan a fondo pagina.

L’apporto dell’antropologia linguistica all’insegnamento delle lingue straniere

Si può studiare una lingua straniera per diversi motivi, donde la diversità dei metodi e dei risultati. Distinguiamone quattro (peraltro non antitetici):

1) il desiderio di vedere rispecchiarsi, in ciò che sembrava diverso e alieno (cioè la lingua straniera), le “leggi dello spirito umano” (Gentile, 1922).Questo traguardo, tipicamente idealista, è quello prefisso dai metodi tradizionali: la lingua straniera viene calata in un sistema grammaticale perlopiu latinizzante; ci si ingegna a spiegare razionalmente le numerose anomalie; si mira al conseguimento, non di conoscenze pratiche, ma di un solido bagaglio culturale, appunto, di stampo idealista dove il relativismo della antropologia linguistica ha poco posto (v. p. e. Grasso e Bottolla 1958).
Il desiderio di quintessenziare la realtà multiforme di una lingua sta anche alla base della linguistica chomskiana (v. Bernstein 1970, Parisi e Castelfranchi 1975), dei corsi pratici d’inglese d’ispirazione chomskiana (v. Ruhan e Boylan 1978 e Ciliberti 1978) e delle sistemazioni delle lingue diverse dall’inglese negli schemi strutturali elaborati per la descrizione o per l’insegnamento dell’inglese (v. p. e. Delehanty 1971); ne consegue che neppure questi approcci “neo-idealisti” dedicano molta attenzione ai fenomeni etnolinguisti;

2) il desiderio di poter adoperare la lingua straniera per “cavarsela” all’estero, per “leggiucchiare” libri tecnici o documenti commerciali, per “scambiare quattro parole” con eventuali ospiti stranieri, ecc. Questo traguardo viene raggiunto con i collaudatissimi metodi diretti praticati in molte scuole di lingua private. Per facilitare l’apprendimento degli schemi interattivi basilari, la lingua dei dialoghi e degli esercizi orali viene ridotta alla sua ossatura strutturale. Essa diventa al limite una lingua senza patria, una specie di Esperanto che pertanto dà poca presa a considerazioni etnolinguistiche: le frasi che la compongono sono di regola semplici e logiche, colorite talvolta con qualche idioma, ma banali; le situazioni evocate sono prevalentemente universali e pertanto neutre (“all’aeroporto”, “all’albergo”, “la domenica in campagna”, “guardando la TV la sera”, ecc.);

3) il desiderio di capire cosa significa ‘parlare’ o ‘scrivere’; il desiderio di poter comunicare qualcosa dei propri pensieri e sentimenti a persone ‘diverse’, maneggiando in modo appropriato la lingua straniera. Questo traguardo, di altissimo valore formativo e culturale, colloca l’insegnamento di una lingua straniera al centro dei processo detto ‘educazione linguistica’; tuttavia, non consente – se non di sfuggita – lo sviluppo di analisi etnolinguistiche durante le fasi iniziali dell’apprendimento.
Infatti. per necessità didattiche, questa impostazione fa praticare un linguaggio senz’altro ricco e autentico, ma in situazioni scelte per mettere in risalto certe dinamiche psico-sociolinguistiche generalizzabili in universali (v. il “notional/functional syllabus” del Consiglio d’Europa), a scapito delle dinamiche etnolinguistiche che caratterizzano le situazioni in quanto alienigeni (v. l’etnografia del discorso di Hymes 1962). Inoltre, la giusta importanza data all’acquisizione di conoscenze produttive (tramite le composizioni orali, la redazione di fumetti, le improvvisazioni e drammatizzazioni originali) e all’uso della lingua per esprimere ciò che si sente realmente (nelle microconversazioni, durante certi lavori di gruppo, nelle lettere scritte a destinatari reali) fa sì che l’impostazione di molti discorsi venga determinata più dalla forma mentis di un gruppo di stranieri – cioè la classe – che da quella di una comunità di informatori nativi – cioè gli autori degli esercizi. Quindi al limite, più (soggettivamente) reali e genuini sono gli atti comunicativi praticati dagli studenti in classe e meno autentici sono questi atti rispetto all’uso della lingua nella cultura di origine.
Per non essere frainteso, aggiungo che l’impostazione psico-sociolinguistica sopraindicata, per limitata che sia, è più che accettabile – anzi, è generalmente consigliabile – durante le fasi iniziali dell’apprendimento di una prima lingua straniera. E ciò perché occorre una esercitazione reale (e non gratuita) per assicurare una autentica educazione linguistica – cioè, l’acquisizione della capacità di collegare forme linguistiche al flusso interiore di pensiero e sentimento –, in modo che lo studente capisca cosa sia una lingua, cosa significhi corminicare.
Solo allora si può tentare di individuare e di situare, con qualche rigore, i fatti etnolinguistici ‘devianti’ della lingua studiata (‘devianti’ perché non direttamente collegabili al mondo etnolinguistico dello studente) e in fine di ricostruire un metalinguaggio etnico 1 a partire dall’intero sistema linguistico straniero, compresi quei fatti che si pensava inizialmente di aver capito pienamente.
Si tratta di un processo che oltrepassa di gran lunga i tre anni d’istruzione media, anche se il nuovo Programma ministeriale per la Scuola indica tra gli “obbiettivi dell’insegnamento della lingua straniera nel quadro dell’educazione linguistica” la effettiva “presa di coscienza dei valori socioculturali… tramite la lingua stessa”.
Eppure il Programma ministeriale, nella frase appena citata, individua una importantissima fonte di motivazione allo studio delle lingue che è certamente presente in molti ragazzi (desiderosi di sistemare i fatti del mondo esterno nella loro complessità e diversità: donde le raccolte di figurine, di francobolli, di monete, di bandiere straniere, ecc.) e in molti giovani (desiderosi di uscire dagli schemi mentali del proprio ambiente per abbracciare il diverso) e che non si può ignorare né accontentare con nozioni storico-geografico-letterarie o con aneddoti turistici. Si tratta del quarto motivo che può indurre allo studio di una lingua straniera, tra quelli che abbiamo voluto individuare:

4) il desiderio di conoscere un’altra civiltà nelle sue differenziazioni intraducibili e pertanto incarnate solo nelle realizzazioni verbali (nella parole) degli indigeni nonché nei sistemi non-verbali tipici della civiltà in questione (vedi la discussione sull’ipotesi Sapir-Whorf in Hymes 1964 e Boas 1966: pp. 288 e 636).
In pratica si tratta di imparare, oltre la lingua di quella civiltà, i codici etnolinguistici e comportamentali sottostanti al suo uso effettivo. Solo allora possiamo comunicare con un indigeno, capendolo in pieno e dandogli l’impressione di parlare e la sua lingua e il suo linguaggio, cioè di “pensare” come lui (Frake 1964).
Questo traguardo è chiaramente il più ambizioso dei quattro, e si raggiunge di solito unicamente attraverso un soggiorno prolungato all’estero, dove ‘fatti linguistici’ e ‘fatti culturali’ vengono vissuti nella loro unicità. Ma il soggiornare spesso non basta.
Senza una adeguata preparazione ‘antropologica’, lo studente che soggiorna all’estero a scopo di perfezionamento linguistico può trovarsi in difficoltà, sia per quanto riguarda il superamento di resistenze di carattere psicologico, sia per quanto riguarda la corretta ‘lettura’ (percezione e ricostruzione) dei fatti etnolinguistici.

Continua la lettura dell’articolo: clicca qui, poi su “RICERCA”, poi sul titolo dell’articolo.

Lo Charme dei fotoromanzi

Partiamo con un brainstorming.
Scrivo la seguente parola:

Charme

Che cosa vi viene in mente?
1…. 2…. 3….
Elicitazioni varie a parte, sicuramente pochi di voi avranno pensato ai fotoromanzi… CHARME è proprio il nome di un mensile della famosa editrice LANCIO, che potreste fare vostro a soli 2,50 euro. Il numero 737, Il manuale del perfetto seduttore, è arrivato tra le mie mani per motivi di studio e si è meritato di finire dritto dritto sul blog.
La trama è la seguente: due coinquilini, colleghi di lavoro, sono uno l’opposto dell’altro. Saverio è bello e valido sul lavoro, mentre Enrico è brutto e imbranato. Il primo aiuter il secondo ad uscire dal guscio e con i suoi formidabili consigli lo trasformer in un rubacuori a cui non riuscir a stare dietro. La fine del fotoromanzo è quella che immaginate…
Iniziamo da un pregio: non ho trovato nemmeno un refuso e questo merita un riconoscimento, visto che popolazioni di refusi invadono la nostra stampa. Ma ciò che mi ha più colpita è stato il tipo di linguaggio utilizzato nei dialoghi, in cui il registro e la variet di italiano, pur stonando, convivevano pacificamente. Curiosa della cosa ho consegnato ad una mia amica camerunese (Flore, che in Camerun insegna italiano) le prime 17 pagine, chiedendole di specificare le espressioni che non aveva capito e quelle che aveva desunto dal contesto; gli esiti sono stupefacenti, ma per conoscerli dovreste arrivare fino alla fine del post.
Per quanto concerne le mie personali riflessioni, ammetto di essere rimasta stupita per la ricchezza del lessico: sono presenti tantissime frasi idiomatiche, che contestualizzate grazie alla storia e alle foto, possono essere un utile strumento per portare in classe un esempio dell’uso vivo. Ho poi riscontrato una correttezza formale nell’uso dei modi e tempi verbali. Frequente è l’uso del congiuntivo con i verbi di opinione e il periodo ipotetico dell’irrealt è strutturato con i modi e tempi dell’italiano “standard”. proprio l’accostamento e la presenza di queste forme, con altre di un registro più basso e colloquiale in una stessa frase, a creare uno strano effetto, come in questa frase tra i due protagonisti (p. 5): Saverio: << Non per deluderti, ma Giulia è una persona gentile e sorride a tutti. E pur elargendoti uno dei suoi mitici sorrisi, ti ha rifilato l’ennesimo due di picche, ho visto tutto>>, Enrico: << Mettiti nei suoi panni. Lei è una specie di dea e io un mezzo imbranato che non piace a nessuna. Le donne mi schifano, ammettiamolo… e hanno tutta la mia comprensione>>. Saverio: << Ehi, adesso stai esagerando con l’autocommiserazione>.
Gli scambi tra i due amici sono esilaranti. In quello che segue c’è un personaggio nuovo, Daniela, il capo dei due, che si rivolge così ad Enrico (p. 9): << (…) Andiamo, siamo franchi. Saverio è bello, ha stile, è un seduttore nato. Tu appartieni alla triste categoria degli sfigati cronici. (…) Anche dal punto di vista immagine… sei un disastro. Non dico di venire in ufficio in giacca e cravatta, ma il tuo aspetto è davvero inaccettabile. Lo vuoi un consiglio? Fatti aiutare da Saverio. Magari, seguendo i suoi insegnamenti, potresti migliorare almeno un po’>>.
Ed Enrico decide di seguire questo consiglio e ne parla con Saverio: <<(…) ho riflettuto a lungo sul consiglio di Daniela e sono giunto alla conclusione che non ha tutti i torti. Potresti davvero essere il mio mentore. Il demiurgo che tira fuori il meglio da me. Il pigmalione che mi trasforma in un essere umano decente. Con un maestro come te forse riuscirei a diventare… accettabile>>. Ma Saverio è quasi irremovibile: << (…) sono convinto che certe cose devi avercele dentro. Insomma, non è come spiegare a uno l’algebra. Il fascino, la sicurezza, il dono di piacere… sono qualit innate, non materia di studio>>.
Ma i consigli di Saverio servono veramente a qualcosa? Ecco Enrico “in azione” con Daniela, il suo capo, poche pagine dopo: << Veramente la gentilezza l’ho usata nei confronti di me stesso. Con questa manovra galante, mi sono concesso il lusso di ammirare per un istante le tue splendide gambe>>. Daniela: << Caspita, stiamo diventando intraprendenti! Dimmi la verit , hai seguito il mio consiglio e ti sei affidato alle cure di quel marpione di Saverio… non è così?>>.
I restanti dialoghi sono più o meno di questo tenore. La loro attenta lettura mi ha fatto evidenziare vari percorsi per l’ampliamento del lessico per quanto riguarda “l’uomo latin lover”: sciupafemmine, galletto, marpione, casanova, provolone, principe azzurro, sfigato, brutto anatroccolo, dongiovanni, ecc. ecc.
Lessico inerente “la seduzione”: seratina coi fiocchi, rivolgere un bel complimento, rimediare nel senso di rimorchiare, (utilizzato poi in avanti con il primo significato di risolvere), acchiappare, appuntamento alla cieca.
Inoltre sono presenti molte espressioni colloquiali e costruzioni polirematiche: schioccare le dita, cadere ai piedi, sbavare dietro, dare addosso, prendere un colpo, avere una fretta del diavolo, spellare vivi, rifilare il due di picche, mettersi nei panni di, dare una strigliata, seratina coi fiocchi, amico coi fiocchi, buttare un’occhiata, rendere giustizia, dettare i tempi, fare il grande salto, cavarsela, lanciare un amo, esserci lo zampino di, ecc. ecc.
possibile anche analizzare l’uso di “magari”.
Per quanto riguarda invece la lettura delle pagine da parte della mia amica Flore, devo ammettere che la sua comprensione mi ha stupita. Flore ha avuto difficolt con alcune espressioni, che rientrano tutte nel lessico comune (quindi siamo oltre il Vocabolario di Base).
Le parole segnate erano le seguenti: moine, arrivare a malapena, sghignazzarmi e brutto anatroccolo. L’ultima era l’unica espressione che Flore non era riuscita a capire, per le altre, le sue ipotesi, si erano rivelate esatte. Questo probabilmente invalida tutte le mie riflessioni, ma ne è valsa comunque la pena!
Mi rimane una domanda irrisolta: sono sicura di non parlare così anch’io?

P.s. Per chi si volesse cimentare, gli arretrati costano il doppio del prezzo di copertina.
Buona lettura!

inviato da ladylink

Convegno Dilit 2006 – secondo giorno

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Relazioni plenarie del secondo giorno (Clicca sulla vignette per ingrandirle):

Anna Maria Ajello (Direttore del Dipartimento di Psicologia dei Processi di sviluppo e Socializzazione dell’Università  di Roma “La Sapienza”) ha tenuto un’interessante relazione sull’importanza della discussione in classe, requisito fondamentale di una lezione per far evolvere la capacità di ragionamento degli studenti. L’approccio di influenza vygotskiana proposto dalla relatrice dovrebbe avere una parte importante nel percorso formativo degli apprendenti. Speriamo che i prossimi ministri dell’istruzione l’ascoltino…

Giorgio Chiari (Professore di Metodologia e Tecniche della Ricerca Sociale alla Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento) ha tenuto una relazione dal titolo Cooperative Learning: un nuovo metodo per una nuova scuola. Il contenuto del laboratorio può essere letto qui, e forse sarebbe bene farlo perché purtroppo la relazione non è stata molto illuminante. Come ha scritto Leonardo in un commento al post sul primo giorno del convegno: “Chiari ha lanciato un messaggio contraddittorio di questo tipo: il modo migliore per apprendere qualcosa intorno al modo migliore per apprendere (il cooperative learning) è un modo di gran lunga peggiore di apprendere (la lezione frontale).

Teresa Remoli (Psicologa, Formatore dell’ACP (Approccio Centrato sulla Persona) e del Metodo “Effectiveness Training” di Thomas Gordon) ci ha presentato il “Metodo Gordon”. Forse perché è stata l’ultima relatrice, forse perché la platea era stanca, forse perché la troppa luce in sala non permetteva una chiara visione di tutte le sue diapositive… fatto sta che oltre all’invito a creare in classe un clima empatico di questa relazione non ricordo nulla. Megli rileggere qui di cosa ha parlato.

Questo è tutto.

Resta da affrontare l’argomento laboratori, abbastanza deprimente, che apre davvero una discussione già introdotta da Christopher Humphris sulla lista di discussione di Perugia, come Leonardo ha accennato nei commenti.

PS: le vignette sono di Yuri, un’amica e un’insegnante in gamba 😉

Il teatro in classe, esperienze a confronto

Come insegnante di italiano per stranieri ho sentito per la prima volta parlare del TLIL su questo gioiellino di blog e leggo dell’esperienza in fieri della Prof.ssa Aldi (cfr. post del 5 aprile) con molto interesse e posto una mia riflessione-ricerca.
Pur rabbrividendo leggendo le parole della Prof.ssa Aldi circa le costanti carenze dell’insegnamento linguistico a livello universitario [le sue studentesse “si lamentano del fatto che a livello universitario non si parli più la lingua straniera ma la si studia solamente da un punto di vista formale...” (intervento del 24 marzo), non si può non rimanere colpiti per l’impostazione del corso, soprattutto la struttura delle prime ore in cui avviene sia il contatto con se stessi e con il proprio corpo, sia quello con il testo vero e proprio e con i compagni di lavoro. Interessante poi leggere: “Ovviamente l’unica lingua utilizzata è quella straniera (nel mio caso francese). La cosa straordinaria è che, accanto alla studio formale della lingua, ossia quella del testo, e quindi ad una serie di interrogativi sulla pronuncia, la grammatica, il lessico…..vi è l’utilizzo spontaneo e creativo della lingua stessa, si pensi alle improvvisazioni, al momento in cui ci si deve accordare su un movimento da fare piuttosto che sul vestito da mettere…

Ciò che più mi entusiasma e colpisce del dettagliatissimo resoconto è il fatto che il teatro offra e rappresenti un motivante, valido e vario contesto per l’uso della LS. Gli studenti hanno quindi una doppia opportunità per praticarla: liberamente negli scambi, nelle riflessioni e nelle interazioni spontanee, ma comunque significative, nell’ambito dell’attività di gruppo, ed in modo più metodico concentrando l’ attenzione verso l’aspetto formale, curando la pronuncia e l’ intonazione (come è descritto nel terzo incontro, in cui avviene l’attribuzione delle parti).
E’ strano quindi ripensare al modulo di fonetica e alla mia insegnante, che insistendo sulla sua importanza e sul suo ruolo ancora da ridefinire all’interno dell’Unità Didattica, altro non ci ha proposto che esercizi ancora troppo forzati, seppur originali e mai banali, ma, ahinoi, totalmente slegati da tutto quello che tratteremmo eventualmente nell’ambito dell’UD.

Molto vicina, seppur diversa, l’esperienza di Anna Comodi, professoressa presso l’Università per Stranieri di Perugia, che tiene nella stessa un laboratorio teatrale dove annualmente mette in scena una storia di ambientazione medievale. E visto l’interesse manifestato a lezione da noi insegnanti, la Prof.ssa Comodi ha affermato che ci avrebbe permesso di assistere alle lezioni; ladylink sarà in prima fila!

Una semplice ricerca su internet mi ha permesso di risalire ad una intervista in cui la Comodi spiega in cosa consiste il suo laboratorio teatrale.

Le due esperienze qui trattate hanno in comune la scelta di un testo funzionale alle relativamente poche ore a disposizione: la Prof.ssa Aldi ne ha 20, la Comodi parla di un mese di lezioni, otto UD e di un testo di 180 righe circa. Le differenze dei contenuti paiono notevoli a partire dal pubblico e dalle modalità. Perché dall’intervista della Comodi si evince che per gli studenti non è prevista una preparazione alla messa in scena così curata come per il TLIL descrittoci da Melissa Aldi, che avendo come meta la complessità della recitazione, coinvolge lo studente in una ricerca che investe il corpo, la mente, la dimensione spaziale come singolo e come gruppo.
Ma questa è una constatazione, non una critica.

Incontrerò la Prof.ssa Comodi la settimana prossima e scommetto sulla sua disponibilità.

Quindi per ora Buona Pasqua…

Convegno Dilit 2006 primo giorno

(clicca sulla vignetta per ingrandirla)

Si è concluso sabato il convegno Dilit dal titolo L’insegnamento linguistico oggi: un mosaico di fattori. Le due giornate sono state interessanti e piene di spunti di riflessione per gli insegnanti, alcuni presentati in modo potente, altri mostrati in modo forse non adeguato ad una platea preparata come quella che gravita intorno alla Dilit.
Un fattore però ha accomunato tutti i relatori: nessuno era lì per parlare del passato, né in qualche modo del presente della glottodidattica, con il risultato che i partecipanti hanno assistito a relazioni e laboratori centrati su tematiche che rappresentano le nuove frontiere dell’insegnamento linguistico: nuovi approcci, nuove ragioni di apprendimento e quindi di insegnamento, nuovi bisogni, nuove modalità di intendere la lingua. Vi propongo un breve commento ad ogni relazione.

Partiamo dal primo giorno:

Alessandra Fasulo (ricercatrice presso il Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e Socializzazione dell’ Università degli Studi di Roma “La Sapienza”) ha introdotto i principi che differenziano l’analisi della conversazione dall’analisi testuale in senso stretto. La relazione ha mostrato con grande chiarezza la potenza comunicativa del linguaggio parlato e la portata semantica di ogni singola parola (o interiezione o gruppo di parole), portata valida in quel momento, in quella situazione, in quel contesto d’uso. Il procedimento di analisi proposto dalla Fasulo è di certo non semplice, privo di certezze di cui (eventualmente) far partecipe il discente, ma apre spiragli interessantissimi che riportano l’autenticità della lingua parlata di nuovo al centro dell’obiettivo analitico e, quindi, del nostro lavoro di insegnanti.

Mario Cardona (Professore di glottodidattica presso il dipartimento di Pratiche linguistiche e analisi di testi della Facoltàdi lingue e letterature straniere dell’Università degli studi di Bari) ha parlato dell’Approccio Lessicale. Seppure il tema fosse di grande interesse la sua relazione non è riuscita ad andare oltre un’introduzione alle ragioni cognitiviste dell’Approccio Lessicale. Peccato che i risvolti pratici non siano stati presentati da Cardona in modo più approfondito e il relatore si sia limitato a mostrare alcuni piccoli esercizi su una lingua decontestualizzata. Il concetto base dell’Approccio Lessicale secondo cui “la lingua consiste di vocaboli in forma grammaticale e non di grammatica in forma di vocaboli” è rimasto quindi poco più che uno slogan come pure le fasi dell’acquisizione prospettate da Lewis, il “creatore” del Lexical Approach, che cercheremo di capire da soli. Lewis dice che la grammatica è acquisita attraverso un processo di Osservazione – Ipotesi – Esperimento. E’ ovvio che questo non può prescindere dalla centralità di una dimensione testuale. Per sapere come farlo…

Patrick Boylan (Professore di inglese per la comunicazione interculturale presso l’Università degli Studi Roma Tre), partendo dal concetto secondo cui Cambia l’economia > Cambia la didattica delle lingue ha presentato alla platea quello che lui prospetta come il metodo di insegnamento più adeguato per una società non più nazionale né internazionale né multinazionale ma ormai transnazionale. Questo è il cosiddetto metodo etnografico, che parte dall’idea che la comunicazione sia “stabilire un rapporto” e permette allo studente di acquisire le competenze per potersi confrontare con altre culture attraverso una stessa matrice comportamentale (una lingua) da ricodificare e adattare per riuscire a comprendere e a stabilire un rapporto reale con la persona con cui si è in contatto. Per chi volesse approfondire una materia tanto complessa, rimando al sito del Prof. Boylan.

Il TLIL

Già da un po’ di tempo ormai si parla molto del CLIL (Content Language Integrated Learning), cioè di apprendimento integrato di lingua e contenuti in riferimento all’insegnamento di qualunque materia non linguistica per mezzo di una lingua seconda o straniera (L2). Nel CLIL il contenuto disciplinare non linguistico viene acquisito attraverso la L2 e la L2 si sviluppa attraverso il contenuto disciplinare non linguistico.
Da questa esperienza metodologica nasce il TLIL, ovvero Theatre and Language Integrated Learning.
Per capire in cosa consista il TLIL, più che testi teorici, consiglio vivamente di seguire la descrizione che Melissa Aldi dell’Università di Urbino sta fornendo in progress di un laboratorio di TLIL.
Scrive Melissa: “Nel TLIL (theatre and language integrated learning) per theatre si intende per lo più drammatizzazione e format (si veda T. Taeschner e il suo format narrativo), cioè drammatizzazioni di storie, format appunto, che lo studente deve saper drammatizzare sia verbalmente che attraverso una serie di gesti mirati alla miglior comprensione della storia stessa”.
Il laboratorio (di francese, con 8 studenti, 20 ore per 10 incontri da 2 ore ciascuno) viene descritto in modo dettagliato, vi lascio qui sotto l’inizio (che è in verità un’introduzione) e vi rimando al forum “Teatro e apprendimento linguistico” di insegnare-italiano.it, il portale per insegnanti di italiano a stranieri sul quale settimanalmente Melissa inserisce i suoi aggiornamenti.

I miei studenti “si lamentano del fatto che a livello universitario non si parli più la lingua straniera ma la si studia solamente da un punto di vista formale…
tutti gli incontri alternano due momenti distinti ma che convivono in maniera sinergica: il primo è quello degli esercizi propedeuti al lavoro teatrale vero e proprio, quindi esercizi di rilassamento, di percezione dello spazio, esercizi di coppia senza e con contatto fisico, di improvvisazioni mimate e parlate, per lo sviluppo della fiducia negli altri, di risonanza della voce…..si inizia gradualmente, dapprima concentrando l’attenzione sul singolo e poi sulla relazione con gli altri (il contatto fisico); successivamente ci si concentra sulla percezione dello spazio, quindi il singolo e lo spazio e poi il gruppo e lo spazio; anche per le improvvisazioni è la stessa cosa, prima quelle mimate e poi quelle parlate…..in ultimo vi sarà la vera interpretazione”.

Alcuni link di questo articolo purtroppo sono andati persi.

Peccato…

Convegno DILIT 2006

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Sono stati annunciati titolo e relatori del Convegno 2006 per insegnanti di lingua organizzato dalla Dilit-IH di Roma.
La Dilit (una delle maggiori e più affermate scuole di italiano per stranieri in Italia e nel mondo) è al suo 18° appuntamento annuale (15 seminari internazionali e 3 convegni).
Ma ecco i dati sul convegno:

L’insegnamento linguistico oggi:un mosaico di fattori

Relazioni in plenum:

Acquisire le lingue come modi di esprimersi e come modi di essere: l’insegnamento interculturale
Patrick Boylan, Professore di inglese per la comunicazione interculturale presso l’Università degli Studi Roma Tre

L’Approccio centrato sullo studente e il Metodo “Gordon”: sviluppare competenze interpersonali e di comunicazione efficace nel “facilitatore dell’apprendimento”
Teresa Remoli, Psicologa, Formatore dell’ACP (Approccio Centrato sulla Persona) e del Metodo “Effectiveness Training” di Thomas Gordon.

• L’altra grammatica: principi di analisi del parlato in interazione
Alessandra Fasulo (Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione dell’ Università degli Studi di Roma “La Sapienza”)

• Cooperative Learning: un nuovo metodo per una nuova scuola
Giorgio Chiari (Università degli Studi di Trento)

• Psicologia dell’apprendimento
Anna Maria Ajello (Università degli Studi di Roma “La Sapienza”)

• Riconsiderare il lessico e la grammatica: L’approccio lessicale nell’ottica comunicativa e umanistico-affettiva
Mario Cardona, professore associato di glottodidattica presso il dipartimento di Pratiche linguistiche e analisi di testi della Facoltà di lingue e letterature straniere dell’Università degli studi di Bari (Università di Venezia)

Laboratori:

• Lo studente di lingue come etnografo – nel proprio paese , Patrick Boylan

• Gestire e risolvere i conflitti: metodi tradizionali e alternative , Teresa Remoli

• Generi del discorso parlato, repertori discorsivi e assetti di partecipazione, Alessandra Fasulo

• L’insegnamento della lingua italiana su più livelli scolastici: obiettivi, problemi, metodi e strumenti di lavoro e di valutazione, Giorgio Chiari

• Psicologia dell’apprendimento, Anna Maria Ajello

• L’approccio lessicale in classe: tecniche ed attività per sviluppare la competenza lessicale , Mario Cardona

• Cooperative Learning, Federica Lattuada

Date: venerdì 7 e sabato 8 aprile 2006
Luogo: Dilit – IH: Via Marghera 22 – 00185 Roma


Libri – L’italiano settoriale

Le maggiori case editrici di libri di italiano per stranieri hanno investito nel proporre volumi per l’apprendimento delle lingue settoriali.
Sono sempre più numerose infatti le richieste di corsi di lingua orientati ad acquisire competenze linguistiche riguardo ad uno specifico campo di conoscenze, interesse determinato generalmente da esigenze lavorative.
Proponiamo qui una breve carrellata di quello che offre il mercato, suddiviso per aree tematiche.

Invitiamo i lettori ad integrare la lista attraverso un commento che potrete fare cliccando sotto al post.

Italiano commerciale e degli affari:

G. Pelizza, M. Mezzadri – L’italiano in aziendaGuerra, 2002
Può essere utilizzato sia come testo di base per un corso di italiano per gli affari e per il commercio, sia come strumento di supporto per il linguaggio settoriale in corsi di italiano dal livello pre-intermedio, all’intermedio/avanzato.

S. Catena – Introduzione al marketingGuerra, 1998


D. Forapani, G. Pelizza – L’italiano in azienda (collana: italiano settoriale) – Guerra, 2000

Un kit (libro, cd-rom, audiocassetta, videocassetta) composto da una Unità introduttiva e sei Unità tematiche. Ogni unità è costituita da segmenti didattici di comprensione orale su video o audio, segmenti didattici di comprensione scritta corredati da esercizi, oltre a numerose attività di produzione orale scritta.

N. Cherubini – L’italiano per gli affari, Bonacci, 1992
Il testo è incentrato sulla lingua e la cultura degli affari in Italia. Il successo in affari è visto sia come forma di comportamento culturale, sia come area di utilizzo di conoscenze linguistiche settoriali.

M. Spagnesi – Dizionario dell’economia e della finanzaBonacci, 1994
Il volume intende essere uno strumento di facile e rapida consultazione per coloro che per vari motivi si trovano ad affrontare testi di economia in lingua italiana.

L. Incalcaterra McLoughlin, L. Pla-Lang, G. Schiavo-Rotheneder – Italiano per economistiAlma, 2003
Il libro si rivolge a studenti, ricercatori e professionisti stranieri che hanno bisogno di usare l’italiano dell’economia per la loro attività. Si indirizza a un pubblico con una conoscenza dell’italiano di livello pre-intermedio e arriva fino a un livello avanzato.

Italiano giuridico:

Una lingua in preturaBonacci, 1996
L’opera si rivolge agli studenti con una conoscenza di base dell’italiano, che intendono accedere a testi scritti e orali affrontati nei corsi di laurea in Giurisprudenza e Scienze Politiche.

D. Forapani – Italiano per giuristi Alma, 2003
Il libro si rivolge a studenti, ricercatori e professionisti stranieri che hanno bisogno di usare l’italiano del diritto per la loro attività. Si indirizza quindi a un pubblico con una discreta conoscenza dell’italiano (livello intermedio o avanzato) e del mondo giuridico in generale.

Italiano della medicina:

D. Forapani, G. Pelizza – L’italiano della medicina 1 (collana: italiano settoriale) – Guerra, 2000
Un kit (libro, cd-rom, audiocassetta, videocassetta) composto da una Unità introduttiva e sei Unità tematiche. Ogni unità è costituita da segmenti didattici di comprensione orale su video o audio, segmenti didattici di comprensione scritta corredati da esercizi, oltre a numerose attività di produzione orale scritta.

Dica 33Bonacci, 1994
Dica 33 risponde alle esigenze di formazione linguistica per scopi accademici degli studenti stranieri che, già in possesso di una conoscenza di base dell’italiano, intendono avvicinarsi e approfondire gli aspetti linguistici che possono essere affrontati nei corsi di laurea in Medicina e Chirurgia.

D. Forapani – Italiano per mediciAlma, 2004
Il libro si rivolge a studenti, ricercatori e professionisti stranieri che hanno bisogno di usare l’italiano della medicina per la loro attività. Si indirizza quindi a un pubblico con una discreta conoscenza dell’italiano (livello intermedio o avanzato) e della medicina in generale.


Italiano per il turismo:

C. Kernberger – L’Italiano nel Turismo, Guerra, 1995
Un testo di lingua italiana per studenti di istituti professionali e scuole alberghiere e per operatori nel campo turistico che, da un livello di principianti assoluti e non, vogliono acquisire subito gli strumenti comunicativi necessari per il loro lavoro.

E. Ballarin, P. Begotti – Destinazione ItaliaBonacci, 1999
Questo volume presenta un ampio ventaglio di situazioni tipiche del mondo del turismo, mostrando e discutendo un’ampia tipologia di testi, dalla telefonata al fax, dalla lettera al dépliant.