25 APRILE: PERCHÉ INSEGNARE L’ITALIANO AGLI STRANIERI?

punto-di-domanda

 

Di solito su questo blog il 25 aprile, anniversario della Liberazione, scriviamo un post che ricorda la Resistenza italiana. Quest’anno, io almeno, non me la sento di scrivere nulla.

Credo infatti che noi italiani di oggi non abbiamo assolutamente nulla da condividere con i partigiani, quasi quelli fossero una razza del tutto diversa da noi.

Lungi da me la tentazione di scrivere un altro ennessimo inutilissimo commento sulla situazione del paese e dei suoi abitanti. Chi vive in Italia sa bene come ci siamo ridotti, chi ne legge dall’estero ne ha un’idea seppur vaga; gli stranieri ridono sempre di più oppure ci guardano perplessi e preoccupati per le eventuali ripercussioni del collasso del nostro sistema statuale sui loro e quindi cercano di preparare un piano di contenimento che limiti per quanto possibile i danni.

Vorrei invece ragionare su quale sia il senso di insegnare una lingua.

Se si insegna una lingua come mezzo per venire a contatto con un popolo bisogna pure darsi qualche giustificazione sul perché valga la pena venire a contatto con quel particolare popolo. Al momento non riesco a trovarne nessuna per quanto riguarda l’italiano. Mi faccio una domanda del tutto astratta: “Se non fossi italiano sceglierei l’italiano come lingua straniera da studiare?”. La risposta che mi dò è sicuramente negativa. Ma allora a maggior ragione, perché insegnarlo? Le uniche ragioni culturali e morali che riesco a trovare riguardano il passato o cose che nulla hanno a che fare con il lavoro dell’uomo italiano contemporaneo. Il sole, il mare, le città medioevali, Michelangelo, la pizza ecc. sono tutte cose che riguardano il passato; la cucina non mi interessa per niente, lo ritengo un ambito di scarso valore per l’umanità.

Mi dico quindi che vale molto di più studiare l’italiano del Trecento che permette di leggere capolavori assoluti della letteratura mondiale che studiare l”italiano’ di Dario Fo. Si impara una lingua per imparare qualcosa da chi la parla, in genere per imparare un modo di vita (“tuono” direbbe Giacomo Leopardi). È ormai da qualche decennio che in Italia è difficile trovare qualcosa da imparare. Probabilmente è da quando Gianni Agnelli diceva negli anni Ottanta, con malcelato orgoglio di persona italianissima e allo stesso tempo abituata a sentirsi a suo agio nel mondo, che l’italiano era la “lingua dell’automobile” e si poteva parlare in italiano con molti dei maggiori costruttori di vetture nel mondo, è da quel tempo che il nostro paese non ha più nulla da dare al mondo. In quel periodo si credeva di aver trovato un modo per coniugare i vantaggi di uno stile di vita pre-moderno con tecnologia e innovazioni all’avanguardia. Quanto fosse piena di  bachi quell’idea ce ne rendiamo bene conto oggi.

Cosa rimane allora all’insegnante di italiano per stranieri di oggi, a maggior ragione all’insegnante che vuole andare a vivere all’estero perché nel suo paese è costretto a risiedere con mamma e papà fino ai trent’anni, impersonando così il paradosso di un promotore di un paese da cui si è dovuti emigrare, e spesso con gran sollievo e felicità? Credo nulla, se non l’idea di insegnare una materia del tutto tecnica, ossia si insegna un codice di un gruppo di emittenti/riceventi dalle caratteristiche repellenti adottando un approccio eminentemente antropologico, del tutto distaccato dal giudizio di valore sull’oggetto di studio.

È così che io insegno l’italiano, come insegnassi un linguaggio-macchina di un computer.

Voi?

 

 

12 pensieri su “25 APRILE: PERCHÉ INSEGNARE L’ITALIANO AGLI STRANIERI?

  1. Ciro, che posso dire? La situazione italiana è esattamente come la descrivi, forse anche peggio se si considera che il partito che avrebbe dovuto fare opposizione sta di fatto garantendo l’impunità proprio a chi ha annientato la dignità del nostro paese. La sensazione che in tanti abbiamo è che il sistema politico economico sia ormai sfacciatamente arroccato nel bunker in difesa dei propri interessi infischiandosene di morale, condizioni di vita e persino della sopravvivenza dei cittadini di cui dovrebbero essere rappresentanti. Ma per tornare al tuo tema, non credo tutti gli italiani siano responsabili di tutto questo. Molti sono collusi, collaterali, clienti, amici ecc, molti altri (tra cui includo me stesso) stupidi che hanno creduto esistesse un’alternativa alla visione di paese dei berlusconidi. Tuttavia so per certo di non aver mai partecipato attivamente o passivamente allo sfascio in cui siamo ridotti, come pure so di credere in una visione di mondo (e dunque di paese) solidale e accogliente. Ai miei studenti racconto ombre e luci della nostra realtà, e cerco di dare quella strumentazione necessaria a consentirgli di essere parte di questo paese. Senza presunzione, davvero, ma so di non puzzare.

  2. Caro Maurizio,
    a me sembra che il tuo commento sia molto ragionevole e a prima vista condivisibile, tuttavia in fondo completamente sbagliato.
    Certo il primo mondo non sta messo bene per quanto riguarda progresso civile e, senza essere troppo pavidi con l’uso delle parole, morale. Tuttavia bisognerebbe distinguere fra ritirate o difese di posizioni: possono essere ordinate o delle vere e proprie rotte. Un esercito in ritirata ordinata o che difenda bene le posizioni può ancora avere un suo senso verso il futuro. Un esercito che fugge in modo sbracato seguendo solo l’istintivo “si salvi chi può” è, appunto, repellente.
    Che in Italia non siamo tutti corruttori, puttanieri, corrotti e puttane è ovvio. In ogni paese repellente, e molti paesi hanno affrontato periodi della loro storia in cui lo erano, ci sono tante persone decenti e fondamentalmente oneste. Probabilmente anzi forse costoro rappresentavano la maggioranza.Tuttavia non per questo la Germania nazista cessa di essere repellente, gli stati del sud degli USA dove fino agli anni ’50 si linciavano i neri cessano di essere repellenti, la Spagna franchista cessa di essere repellente, la Francia di Vichy cessa di essere repellente, il Sud Africa razzista cessa di essere repellente, ecc. ecc.
    Credo che chi studia/insegna una lingua nazionale, parlata in stati nazionali, come l’italiano, il giapponese, il polacco, l’ungherese, ecc. (alquanto differente la questione per le lingue imperiali) faccia riferimento soprattutto ad un modo di essere di quella specifica nazione, di quello stato-nazione. Ora, in Italia ci sono tantissime persone oneste, tuttavia cosa me ne faccio di tutti questi italiani onesti se vedo che il Presidente del Consiglio italiano dice allegramente che lui ha regalato qualche decina di migliaia di euro ad una giovane marocchina che passava di là per aprirle un centro estetico? E costui si ripresenta alle elezioni e viene votato dal 25% degli elettori? È un po’ come conoscere una bellissima donna e ogni volta che la si incontra si presenta sempre vestita decentemente e con gusto ma inzaccherata ovunque di schizzi di merda. Ha senso imparare la sua lingua per invitarla a cena?

    P.S. La vicenda del Kazakistan e’ uno schizzo di merda proprio in piena faccia, non piu’ sul vestito: le brache calate anche di fronte a Borat. Chi vuole uscire e conversare con qualcuno sporco di merda proprio in faccia? E, se non si fosse ancora capito, siamo tutti sporchi di merda, anche quelli che parlano e credono in compassione, accoglienza, ecc. ecc., semplicemente perche’ siamo italiani. Nessuno si senta escluso. I nostri studenti annusano il puzzo che emaniamo, anche se fanno finta di niente.

  3. Capisco l’amarezza per le condizioni in cui versa il nostro paese, ma la domanda se valga la pena venire a contatto con noi italiani la si potrebbe girare identica a tanti altri “popoli” del primo mondo. Il tema del tecnicismo come unico orgoglio nazionale per giunta ormai al tramonto (ammesso che sia così) è semmai in se il limite su cui si sono interrogati molti pensatori contemporanei e che in estrema sintesi si riferiscono all’ineguale progresso della tecnica e del pensiero filosofico.
    In Italia tutto è stato peggiorato da un’involuzione culturale ed etica di cui non si possono certo qui ricordare le cause che sono note a molti.
    Ma gli italiani non sono tutti uguali, né tutti ugualmente riconducibili al modello proposto da certa televisione e dalle istituzioni per giunta. Tra i commenti leggo chi parla di accoglienza, di aiuto all’integrazione; persone che evidentemente credono ad un’idea di mondo forse anacronistica, ma non per questo meno convinta o importante.
    Semmai il problema è nella rappresentazione! Non c’è narrazione collettiva di queste diverse realtà, men che meno rappresentanza politica.
    Ma questo non è un dato di natura, e spetta ad ognuno di noi fare in modo che le cose cambino.

  4. E’ vero, siamo in un periodo dei più neri della storia del nostro Paese. Ma non credo che non abbiamo nulla di positivo da insegnare agli stranieri.
    Insegnare la nostra lingua agli immigrati li aiuta a inserirsi in Italia, a vivere meglio. Di modo che possano essere proprio loro a diventare la nuova classe di italiani. Insegnare italiano a queste persone potrebbe aiutare a rinnovare la nostra popolazione, formata da nuovi italiani, diversi ma pur sempre italiani.

    L’Italia per me, nonostante tutti i difetti, resta il Paese più accogliente in assoluto. E’ questo il valore più grande di cui siamo portatori. Perché credo che in pochi farebbero quello che fa la guardia costiera e la popolazione di Lampedusa, che ogni anno strappano dalle braccia della morte tantissime persone disperate.

    Iniziamo a volerci più bene, a vedere anche le cose positive del nostro Paese, anche se non si vedono subito. Solo abbandonando il disfattismo e volendoci più bene potremo costruire una nuova, grande Italia.

  5. Perché insegnare italiano agli stranieri?

    Dipende da che stranieri sono i nostri studenti: se sono stranieri poveri o ricchi.
    Agli stranieri poveri, quelli dei CTP, dei corsi al mattino solo per le donne che altrimenti non uscirebbero mai di casa, quelli analfabeti o quelli che sono andati a scuola per due anni e poi più, bisogna insegnare l’italiano come forma di sopravvivenza. E questo è già un buon motivo.

    Agli stranieri ricchi, quelli delle scuole private di lingua, quelli dei centri di cultura, finiremo (o abbiamo già cominciato) per insegnare l’italiano come ora si insegna il greco o il latino: lingue di civiltà perdute.
    L’amara differenza è che la civiltà è perduta ma gli italiani sono ancora vivi.

  6. Perché insegnare l’italiano agli stranieri?
    Basta aver seguito il convegno di cui sotto. Invito a guardare la pagina di oggi: facebook dell’Accademia della Crusca
    18-19 aprile 2013
    Convegno dedicato ai primi dieci lustri del volume di Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Bari, Laterza, 1963
    Città d’Italia: ruolo e funzioni dei centri urbani nel processo postunitario di italianizzazione

  7. Innegabile,il paese è questo. Eppure, nonostante tutto, insegnare Italiano agli stranieri è spesso accoglienza, condivisione, apertura al mondo:a quel mondo che arriva qui in mille guise e speranze,talora da ben più crude realtà.Non ci può essere meccanicità in questi casi…è più facile che ve ne sia con un branco di adolescenti italiani riottosi e ribelli.Tra le esperienze d’insegnamento, resta quella a più alta concentrazione di umanità, profondità, libertà.

  8. Innegabile,il paese è questo. Eppure, nonostante tutto, insegnare Italiano agli stranieri è spesso accoglienza, condivisione, apertura al mondo:a quel mondo che arriva qui in mille guise e speranze,talora da ben più crude realtà.Non ci può essere meccanicità in questi casi…è più facile che ve ne sia con un branco di adolescenti italiani riottosi e ribelli.Tra le esperienze d’insegnamento, resta quella a più alta concentrazione di umanità, profondità, libertà.

  9. Direi anche prima caro Ciro.
    Della scomparsa dell’italiano come lingua letteraria ne parlava Pasolini nel 1968. L’unitarietà linguistica già allora consisteva nell’ambito tecnologico, vero cemento che teneva unità la Patria.

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