Questo è un blog che si interessa di questioni relative all’insegnamento linguistico e oggi è il giorno in cui ricorre l’anniversario dell’unità nazionale italiana. Vorrei allora condividere con voi alcune riflessioni personali su una frase che per me è sempre suonata ambigua.
I giornalisti o anche i sociologi chiedono: “Sei orgoglioso di essere italiano?”, segue poi un’ulteriore domanda: “Perché?”. Come dicevo in apertura è una domanda che per me non è mai stata chiara. Perché implica almeno due significati: a) sei orgoglioso di essere nato italiano? b) sei orgoglioso di quello che l’Italia è oggi?
La prima rimanda ad uno status ricevuto passivamente, la seconda, soprattutto se si comincia ad avere più di quaranta anni, rimanda ad un giudizio su qualcosa che in parte si è contribuito a creare con le proprie scelte (o le proprie non scelte) ed il proprio operato quotidiano.
In altre parole la prima definisce una concezione di nazionalità proto-razzista perché l’orgoglio consiste nell’essere parte di una stirpe con determinate caratteristiche positive e negative. La seconda rimanda invece ad una concezione della nazione come di qualcosa che è sempre in divenire, sempre a rischio e migliorabile.
Alla prima domanda io non riesco proprio a rispondere, dato che non credo che abbia alcun senso logico, siccome non ho avuto nessuna parte attiva nel mio concepimento. Sarebbe più comprensibile se fosse Ti ritieni fortunato ad essere nato italiano? Come si trattasse di una lotteria. In questo caso potrei rispondere che tutto sommato sì mi ritengo fortunato. Sarebbe una risposta ponderata razionalmente in base a semplici considerazioni statistiche. Credo infatti che guardando tutte le altre scelte possibili sono di certo stato sfortunato se considero paesi come l’Australia, la Nuova Zelanda, la Francia ed alcuni altri ma sono certo in una migliore situazione dei cittadini di molti altri paesi.
Alla seconda domanda rispondo decisamente in modo negativo. Non sono orgoglioso di quello che oggi è il mio paese e quindi non sono orgoglioso di me, perché se oggi il mio paese versa in uno stato che deploro ciò è anche mia responsabilità.
Proprio il 17 marzo quindi vale la pena ricordare che il Risorgimento italiano non corrispose ad un concepimento fatto da altri e neanche ad un parto. Fu un processo in cui si operò attivamente per ridarsi la vita, per ritornare alla vita civile. Si può discutere sulle strategie e i risultati che quel processo ha dato, ma non credo che si possa mettere in discussione che i volontari che vi presero parte agirono per qualcosa in cui credevano, spesso mettendo a rischio o perdendo carriera, denaro, la vita.
La domanda da cui sono partito credo allora che vada riformulata in modo più preciso: ho fatto abbastanza affinché la mia nazione sia migliore?
Caro Ciro,
Ti sei spiegato benissimo! Sono sicuramente d’accordo con te su tutto, anche se forse tendo a vedere la questione da un’altra angolatura. Vorrei capire come vengono selezionate, le nostre classi dirigenti, perché credo che lì risieda il grosso del problema. In un paese normale ai posti di responsabilità arriva nella maggior parte dei casi una persona competente. In Italia sembrano prevalere altri principi poco europei, tipo la fedeltà ad un determinato gruppo, un certo tipo di ‘affidabilità’, la connivenza ecc.
Credo poi che il nostro paese sconti un ritardo educativo enorme (e non più colmabile): da questa scarsa “densità” derivano probabilmente molti altri problemi.
Potrei anche aggiungere che se prendi un autobus a Roma (dico Roma ma potrei metterci il nome di qualsiasi altra città italiana) vedi pochissime persone obliterare il biglietto: io lo vedo come uno dei moltissimi indizi del totale senso di estraneità e menefreghismo nei confronti della collettività che si respira in Italia e che non trova riscontri nelle altre società europee (sviluppate).
Caro Adalberto,
Che il comportamento di molti italiani, sia in posizione dirigente che no, sia poco commendevole e’ ovvio, ma questo non spiega nulla ed infatti conosco tanti stranieri facenti parte dei cosiddetti ‘popoli civili’ che risiedono in Italia da decenni e… evadono le tasse, si fanno raccomandare per sorpassare i loro concorrenti, non fanno la raccolta differenziata e neanche raccolgono la cacca del loro cane dal marciapiede. Cosi’ come conosco tanti italiani residenti all’estero che pagano le tasse e raccolgono la cacca del loro cane.
Credo che il tuo ragionamento non sia d’aiuto alla comprensione della situazione italiana (né di alcun’altra) perché tende ad essere circolare: l’élite italiana è corrotta perché il popolo è corrotto e il popolo è corrotto perché l’elité è corrotta. Così diventa una specie di allucinazione alla Esher. Per spiegare bisogna assumere un approccio di metodo quando si ragiona sulla mobile dinamica fra gruppi dirigenti e popolazione. Il mio approccio, come ho cercato di mettere in evidenza con il precedente commento, è che la ‘prima mossa’ sia di responsabilità dei gruppi dirigenti e che quindi questi abbiano sempre maggiore responsabilità. Siccome però partivamo da un confronto con altri paesi, e visto questo mio approccio, quello che io dico è che se un popolo è corrotto mentre un altro popolo non è corrotto già di per sé questo prova che la classe dirigente del primo popolo è peggiore di quella del secondo. Se invece seguiamo il tuo metodo, finiamo sí agli ‘alieni’ o alle ‘spore’ come dicevi tu, perché allora non si capisce perché il tasso di corruzione e di malcostume sia minore in Germania rispetto all’Italia. Con il tuo metodo bisogna concludere che un giorno qualche entità esterna è scesa e ha creato un popolo tedesco probo che quindi naturalmente ha prodotto una classe dirigente altrettanto proba. Siccome però invece bisogna muoversi nella storia e non nella fantascienza dobbiamo concludere che quello che sta succedento ora in Italia è quanto meno la risultante del fallimento storico delle classi dirigenti italiane più che delle classi dirette, così come quello che successe in Germania fra il 33 ed il 39 è il fallimento della classe dirigente tedesca più che delle classi dirette di quel paese. Classi dirigenti e classi dirette insieme costituiscono il popolo che quindi nel suo insieme ha fallito, lasciando Hitler andare al potere e lasciando Berlusconi andare al potere.
Inoltre, credo che non ci capiamo sul termine “classe dirigente”. Le “classi” o “gruppi dirigenti” non sono solo i politici eletti in parlamento, questi ne costituiscono una parte. Nei gruppi dirigenti rientrano tante persone che non hanno ricevuto la loro posizione di potere e responsabilità in virtù di un’approvazione popolare esplicita. Alti magistrati, alti gradi delle forze armate, alti gradi del mondo imprenditoriale, della comunicazione di massa, della formazione, dell’associazionismo. Non considerare il peso di queste persone è ingenuo. Così come non sarebbe stato possibile l’avvento di Mussolini al potere senza le connivenze e le vere e proprie approvazioni di questi circoli, nello stesso modo non sarebbe stato possibile che Berlusconi fosse al centro della scena politica per venti anni se non fosse stato ‘permesso’ da tutta una serie di persone che vedeva un magnate televisivo, dal sorriso furbo e dalla battuta grassa come una possibile soluzione al terremoto che si era verificato dopo il 1992. Per questo ho portato ad esempio nel mio precedente commento un ammiraglio e un diplomatico di carriera. Costoro non sono stati eletti e scelti per ratifica popolare.
Quando mi riferisco al ruolo pedagogico della classe dirigente (intesa nel senso largo) in un paese democratico non voglio mettere l’accento sul fatto che parlamentari come Scilipoti sono stati eletti regolarmente dall’elettorato e che quindi gli italiani sono come Scilipoti perche’ scelgono Scilipoti come ‘maestro’ di etica pubblica, quanto piuttosto sul fatto che in un paese democratico la classe dirigente (sempre intesa nel senso largo) deve ‘educare’ il proprio popolo affinché venga evitato che personaggi come Scilipoti finiscano in Parlamento e quindi siano annoverati fra la elite della nazione (un’affermazione ripugnante che purtroppo corrisponde al vero). I mezzi di comunicazione di massa, gli apparati dello Stato, le associazioni industriali e economiche, devono creare un clima tale per cui Scilipoti o Berlusconi possano certo provare ma siano destinati a fallire in quanto escono dalle regole del gioco e dai limiti dell’etica pubblica accettata. Per spiegarmi ti faccio un paio di esempi di un paese abbastanza simile a noi, la Francia (e sia detto senza offesa per i francesi). Bernard Tapie negli anni Ottanta è un crinito imprenditore e presidente del Marsiglia Calcio. Decide di entrare in politica, nel giro di qualche mese la magistratura lo distrugge in modo che non si azzardi mai più a fare qualcosa del genere, mandando un messaggio chiaro in giro: la Repubblica Francese (la classe dirigente della Repubblica Francese) non tollera che scorridori del genere entrino in politica. E a Tapie tutto sommato andò abbastanza bene. Ancora negli Ottanta, Coluche è un comico francese, di origine ciociare, che ha lavorato con Grillo. Fa un programma sarcastico su Radio Montecarlo dove sbeffeggia le altissime cariche della Repubblica. Glielo censurano e per ripicca si mette in politica, concorrendo per Presidente della Repubblica, con slogan come “Diamogli in culo, votate me!”. Dai sondaggi risulta che può farcela. Il suo collaboratore più stretto viene misteriosamente ucciso e lui ritira la candidatura dandosi alle pie opere per i poveri e gli affamati. Evidentemente c’è un apparato in Francia che quando si superano certi limiti smette di dividersi e invece fa blocco unito. Questo apparato è appunto la classe dirigente francese, che è migliore di quella italiana, le classi dirette (piccoli borghesi, giornalisti di provincia, insegnanti, bassi magistrati, bassi gradi dell’esercito, ecc.) arrivano dopo.
In altre parole le classi dirette francesi, inglesi, americane, spagnole, danesi non sono intrinsecamente migliori delle classi dirette italiane, sono i loro gruppi dirigenti che sono migliori.
Mi scuso per la lunghezza, ma altrimenti non sarei riuscito a spiegarmi, ammesso che ci sia riuscito.
Ciao Ciro,
tu dici che “il compito delle elite in un paese democratico non e’ rispecchiare il popolo, ma educarlo e guidarlo per farlo evolvere verso il meglio.”: non potrei essere più d’accordo con te! Una sola domanda: chi le sceglie, le élite (rappresentative) in questo paese? Rimango dell’idea che purtroppo ci sia una responsabilità collettiva rispetto al disastro. Insomma, penso che i comportamenti poco virtuosi non siano solo appannaggio delle élite (altrimenti la soluzione ai nostri problemi sarebbe relativamente semplice), tutt’altro.
Caro Adalberto, aspettavo a risponderti perche’ volevo scrivere qualcosa di articolato. Ma la vicenda dei due maro’ vale piu’ di un miliardo di argomentazioni a favore della mia affermazione. Un diplomatico di carriera e un ammiraglio riescono a passare dalla parte della ragione (o comunque dalla parte del diritto: secondo la nostra Costituzione, e da quello che leggo anche secondo il diritto internazionale, il giudice naturale dei due membri delle forze armate in servizio per le azioni condotte in acque internazionali e’ un giudice italiano) alla parte del torto marcio gettando nel disonore e nella vergogna tutta la nazione (o almeno quella parte della nazione che non vive di solo panem et circenses), rovinando la vita a due persone (forse colpevoli, ma forse no) che durante tutta la vicenda hanno tenuto una condotta ineccepibile e soprattutto alle loro famiglie, creando un danno incalcolabile di immagine e di autorevolezza all’esterno e un abisso di demoralizzazione nera all’interno, se ancora ce ne fosse bisogno. Aggiungendo un tocco grottesco con la dichiarazione del sottosegretario alla Difesa: “La parola di un italiano e’ sacra.”. Qual e’ una classe dirigente che riesce a fare un capolavoro del genere? Qual e’ una classe dirigente che riesce a diseducare piu’ di cosi’ il proprio popolo? Che questi due siano “pura biografia” della nazione italiana io ne dubito molto. Ma non e’ questo il punto, il punto e’ che anche se cio’ fosse corretto loro sarebbero peggiori sia rispetto al loro popolo sia rispetto ai gruppi dirigenti degli altri paesi perche’ con il loro comportamento hanno dimostrato di aver smarrito il senso del loro ruolo: il compito delle elite in un paese democratico non e’ rispecchiare il popolo, ma educarlo e guidarlo per farlo evolvere verso il meglio.
Caro Ciro, come mi riconosco nelle tue risposte! Per chi poi, come me, ha superato da qualche anno i 40, gli ultimi vent’anni sono stati un grande tormento, acuito dalla residenza all’estero. Difficile sentirsi orgogliosi e d’altra parte impossibile trovare (e staccare) nel cervello il fusibile che regola l’identificazione irrazionale con il proprio paese. Si soffre e ogni volta che si pensa “Ecco, questo è il fondo: ora possiamo solo risalire” si apre sotto i nostri piedi una nuova botola.
Sono in parziale disaccordo con te invece quando affermi che secondo te il popolo italiano non è peggiore di altri: certo, bisognerebbe intendersi sul significato di concetti come “peggiore” o “migliore”, ma non posso non constatare che qualche disfunzionalità molto diffusa in Italia esiste. Come non posso constatare che le classi dirigenti italiane non sono piovute dal cielo come spore (ricordi gli alieni di “Terrore dallo spazio profondo”?) ma sono espressione perfetta del paese che le ha prodotte. Pura autobiografia della nazione…
Grazie per i complimenti.
Per quanto riguarda “essere cittadino del mondo” per sincerita’ devo dire che e’ anch’essa un’affermazione che mi lascia alquanto perplesso. Che vuol dire?
Per la domanda che pone Vera, credo che il non agire non sia uguale all’agire, intendo l’agire male ovviamente, e quindi sono d’accordo con lei. I due comportamenti si sostengono chiaramente, tuttavia penso che l’aspetto principale del problema etico in Italia non sia tanto la maggore disonesta’ intrinseca o la passivita’ delle persone, quanto la mancanza di ‘arbitri’ indipendenti che controllino e sanzionino i comportamenti scorretti; cio’ ovviamente scoraggia il civismo di coloro che agirebbero, ossia denuncerebbero, se ci fosse qualcuno pronto ad ascoltarli seriamente. In termini piu’ brevi, credo che il popolo italiano non sia peggiore di altri popoli, mentre credo che la classe dirigente sia di qualita’ decisamente piu’ scadente.
E poi arriviamo, come giustamente fa notare Giacomo, al punto della estrema complicatezza dell’ultima domanda del mio post. La parola “abbastanza” in quella domanda e’ per forza di cose riempita di significato del tutto soggettivamente; tuttavia presuppone sempre una devoluzione di se’, un sacrificio, che puo’ essere piu’ o meno grande a seconda della temperie storica e del paese in cui si vive. Penso che questo aspetto relativo al sacrificio abbia molto a che fare con la religione cristiana (non ne conosco altre, ma probabilmente anche in altre c’e’ lo stesso richiamo) nel senso di dover dare qualcosa al prossimo senza aspettarsi un tornaconto personale diretto. Per questo, pur essendo agnostico, spero che la nuova elezione del Pontefice Francesco possa infondere in noi italiani di nuovo la voglia di spendersi per l’altro. Sono fiducioso che se questo avverra’ anche la nazione italiana ne godra’ grandemente.
Sono d’accordo su entrambe le osservazioni fatte da Ciro in merito all’ambigua e mal posta domanda a cui si riferisce nel suo intervento, e trovo stimolante, oltreché impegnativa, l’altra domanda che pone in conclusione. Penso, come hanno osservato sia Vera che Koskofo, che sia un buon modo di evitare la retorica vuota e ribaltare luoghi comuni triti e ritriti, e anche, chiaramente, un richiamo alla responsabilità. Dal punto di vista della didattica, a parte le implicazioni sul piano dell’impegno personale, penso che possa costituire un buon punto di partenza per una discussione semplice ma non banale sull’identità, nazionale e non.
eppoi a una domanda come “sei orgoglioso di essere italiano?”, dai, non si può che rispondere con degli stereotipi positivi (tipo “italiani brava gente”, appunto ) o negativi (situazione attuale del Belpaese) e solo OVVIAMENTE sulla base della propria esperienza personale e della propria cultura.
Ma teniamo presente che in tanti altri paesi – Olanda docet, per quanto mi riguarda- ti risponderebbero a questa domanda che sí, sono orgogliosissimi di appartenere a quella data nazionalità, perché loro sono bravissimi, intelligentissimi, mentre voi italiani … e questo, a lungo andare, non ci fa bene, non ci aiuta: sarebbe giusto pensarci un po’ su.
Domanda polemica: non sarà che il nostro paese è il risultato delle nostre NON azioni quotidiane?
Grazie di questo spazio di riflessione e un saluto a tutti Vera
Ciao Ciro. Sono d’accordo con te su tutta la linea: si tratta di domande retoriche, mirate a dare fiato a un’idea di cittadinanza basata a mio avviso sulla purezza di sangue e altre idee razziste. E quest’idea è causa di ben altri risultati e vicende: basti pensare allo schifo che sta venendo fuori giorno dopo giorno sulla questione dei due marò in India. O alla retorica infestante degli “italiani brava gente”.
Vorrei però aggiungere, anche sulla scia di quanto ha detto Vera, un’osservazione di Moni Ovadia nella quale mi ritrovo pienamente (fonte http://bit.ly/131k35s), e che, a mio avviso, serve a smontare la retorica che ha circondato la festa del 17 marzo (che tralascia la questione di Roma capitale in ossequio alle gerarchie ecclesiastiche) e a ridimensionare il ruolo del risorgimento italiano:
“Io sono un cittadino italiano che disprezza ogni nazionalismo, a cui ripugna ogni retorica patriottarda e ho una vocazione universalista che mi fa sentire cittadino del mondo. Eppure l’Italia è anche la mia patria, nel senso in cui lo intendevano i combattenti per la libertà della Resistenza antifascista. I tanto calunniati e demonizzati comunisti italiani si aggregavano in formazioni che portavano il nome di Garibaldi, o la sigla Gap, gruppi di azione patriottica. Il Risorgimento si compie e si invera solo con la Resistenza antifascista, solo allora lo Stivale diviene la patria di tutti, perchè nel passaggio da sudditi del Regno a cittadini della Repubblica anche le donne diventano cittadine italiane a pieno titolo. Non solo.
Gli ebrei come me sono finalmente reintegrati nella piena dignità di cittadini italiani, dignità che il fascismo aveva loro strappato con le infami leggi razziali e con la complicità dei miserabili Savoia. Solo chi si riconosce nella Resistenza può dirsi pienamente italiano.”
E quindi? Come hai giustamente detto tu, non resta che la presa d’atto dell’inutilità di certe domande, e l’amara presa d’atto che il nostro paese è anche il risultato delle nostre azioni quotidiane..
Un saluto, e grazie dell’ottimo lavoro che fate con questo blog!
Ottima la tua analisi di questa domanda “sei orgoglioso di essere Italiano?”, caro Ciro, la condivido in pieno e desidero solo sottolineare che non solo il Risorgimento Italiano è stato un moto di volontari che credevano davvero in quello che facevano, ma anche una grande parte dei partigiani della resistenza hanno dato la loro vita per difendere la Patria e i suoi princípi di libertà e di democrazia. Loro sí, hanno fatto qualcosa per per migliorare la loro nazione.
Resta da chiedersi, appunto, che cosa abbiamo fatto e stiamo facendo noi (generazione sopra i 40, per quanto mi riguarda anche sopra i 50!) per rendere migliore la nostra nazione. Anch’io sento di non aver fatto molto, tuttavia mi piacerebbe discuterne.
Grazie! Vera